Giustizia & Impunità

Fondi Lega, l’assessore lombardo Stefano Galli indagato per riciclaggio. Zingaretti: “Salvini tace, dovrebbe dire la verità sui 49 milioni”

L’inchiesta dei pm di Genova nasce da quella sui rimborsi elettorali che il Carroccio ha ottenuto ai danni del Parlamento tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci. L'assessore di Fontana è indagato perché da presidente dell'associazione Maroni presidente avrebbe "compiuto operazioni su una parte delle somme di denaro provento dei reati di truffa aggravata". Il segretario del Pd attacca quello del Carroccio: "Quelli sono soldi delle tasse dei cittadini che sono scomparsi"

L’inchiesta sul presunto riciclaggio dei soldi della Lega ha il primo indagato: è Stefano Bruno Galli, assessore all’Autonomia della Regione Lombardia di Attilio Fontana. Già finito nel mirino dei pm di Milano, che però avevano chiesto e ottenuto l’archiviazione per il reato di appropriazione indebita, ora Galli è indagato dalla procura di Genova. Docente di Dottrine politiche alla Statale di Milano, classe ’66, è tra gli ideologi del Carroccio e primo sostenitore dell’autonomia lombarda: risponde del reato in quanto numero uno dell’Associazione Maroni presidente “per aver compiuto operazioni su una parte delle somme di denaro provento dei reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, commessi da Umberto Bossi e Francesco Belsito attraverso l’associazione ‘Maroni Presidente'”. In pratica per l’accusa parte dei fondi della Lega, frutto della truffa ai danni dello Stato, è finita all’associazione presieduta da Galli. Contestazioni che vengono usate da Nicola Zingaretti per attaccare Matteo Salvini. “Quando gli si chiede dei 49 milioni, Salvini ride e dice: ‘Io non so nulla. Non è bello perché quelli sono soldi delle tasse dei cittadini che sono scomparsi, ora indagine farà suo corso ma sarebbe bene dire la verità“, ha detto il segretario del Pd Di Martedì su La7 ironizzando sulla rateizzazione in 80 anni: “Vorrei vedere a quale famiglia viene fatto un mutuo di 80 anni”.

L’indagine dei pm – L’inchiesta della Guardia di Finanza è stata aperta ormai quasi due anni fa ma solo oggi sono scattate le perquisizioni all’associazione presieduta dal politico leghista. L’indagine genovese nasce da quella sui rimborsi elettorali che la Lega ha ottenuto ai danni del Parlamento tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci. Il processo si è concluso lo scorso 6 agosto con una sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritti i reati per Umberto Bossi e per il tesoriere Belsito ma ha confermato la confisca dei 49 milioni. I finanzieri hanno perquisito le sedi delle tipografie “Boniardi Grafiche srl” di Milano, e “Nembo” di Monza (cessata), che hanno fornito servizi per le campagna elettorali del Carroccio. Fabio Massino Boniardi, classe 1971, è attualmente deputato leghista, ma al momento non risulta indagato. Circa 450mila euro sarebbero transitati da Banca Aletti all’Associazione Maroni presidente e da questa girati su alcuni conti riconducibili alla Lega. I soldi, tramite Galli sarebbero formalmente stati utilizzati per acquistare del materiale a sostegno della campagna elettorale della Lega ma, in realtà, non sarebbero stati mai stati spesi e sarebbero rientrati in altri conti correnti, riconducibili al partito. La Banca Aletti era l’istituto su cui a Genova era aperto il conto su cui erano stati versati i soldi dei rimborsi e che avevano fatto spostare la prima inchiesta da Milano al capoluogo ligure. L’ex presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni riguardo all’associazione su Facebook scrive di “non aver mai avuto in essa alcun ruolo gestionale né operativo. Sono tuttavia certo della correttezza della gestione da parte del presidente e dei consiglieri”.

L’inchiesta del Fattoquotidiano.it – Sono i cosiddetti “soldi spariti” della Lega, cioè i fondi che la procura di Genova cercava di rintracciare perché frutto di una truffa allo Stato architettata con la falsificazione dei bilanci del partito. Nel novembre del 2018 il fattoquotidiano.it, esaminando i bilanci della Lega, scoprì che almeno parte di quei 49 milioni non erano spariti nel nulla. Proprio durante il mandato di Roberto Maroni come segretario del Carrocio una parte di quei fondi era stata utilizzata per spese che in precedenza erano molto minori. Per esempio nel 2013, ultimo anno di Maroni leader, quando gli “oneri diversi di gestione” pesavano sulle casse di via Bellerio addirittura per quasi nove milioni, mentre ammontavano a due milioi di euro contributi ad associazioni erano due milioni. Quali associazioni? Dal bilancio non si riusciva a venirne a capa. L’indagine della procura di Genova, però, potrebbe aver trovato i tasselli che mancavano a quella storia.

L’inchiesta a Milano per appropriazione indebita – A giugno gli investigatori e gli inquirenti genovesi hanno ascoltato, come persona informata sui fatti, l’ex consigliere della lista Maroni Presidente, Marco Tizzoni, che a Milano aveva presentato un esposto in cui aveva adombrato il sospetto che l’Associazione Maroni Presidente “fosse stata tenuta nascosta ai consiglieri dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi”. Cosa era successo? È quanto ricostruito sul Fatto Quotidiano da Davide Milosa. La lista di Maroni nel 2013 raccoglie circa mezzo milione di voti e porta in Regione undici consiglieri. Tra loro Tizzoni, mentre presidente del gruppo sarà eletto Stefano Bruno Galli. A gennaio, secondo l’esposto di Tizzoni agli inquirenti milanesi, viene creata l’Associazione Maroni Presidente “senza che nulla venisse comunicato ai candidati e agli eletti”. Se la lista politica ha tutti esponenti civici, l’associazione parallela è di matrice leghista. Tra i primi sei fondatori compare l’ex ministro e senatore della Lega, Roberto Calderoli. Nel 2018 i membri scendono a quattro.

L’esposto – Sono tutti interni alla Lega di Matteo Salvini. Scrive Tizzoni nell’esposto: “Nessun rapporto è mai esistito tra i consiglieri del gruppo e tale associazione, che è stata tenuta ben nascosta”. Tizzoni scopre che la Lista Maroni ha maturato rimborsi elettorali dallo Stato per circa un milione di euro. Altri 350mila arriveranno dalla Regione per il funzionamento del gruppo. Buona parte del milione passerà per l’associazione. Si legge negli atti: “Nello statuto dell’associazione sono segnalati gli scopi e nessuno di questi risulta essere mai stato perseguito dai suoi membri e variato nel corso degli anni (…). Vi è il sospetto che tale associazione sia stata tenuta nascosta a noi consiglieri tutti questi anni dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi”. Cosa che avverrà: oltre mezzo milione finirà all’associazione. Un’operazione border line sul cui rilievo penale la Procura non pare intravedere ipotesi di reato. Ancora prima, parte del milione, e cioè 450mila euro, passano all’associazione e poi alla Lega come pagamento di un prestito iniziale per fare partire la Lista Maroni.

L’inchiesta per riciclaggio – L’inchiesta riguarda anche il presunto riciclaggio di parte di quei fondi, che da settembre il partito sta restituendo allo Stato a rate trasferiti in Lussemburgo attraverso la banca Sparkasse di Bolzano e poi fatti rientrare, in parte, subito dopo i primi sequestri disposti della procura. La banca ha invece sempre sostenuto che quei fondi (circa 10 milioni) fossero soldi dello stesso istituto, slegati dal partito. La banca altoatesina ha ospitato in passato un conto corrente della Lega pari a 20 milioni di euro. Ad aprirlo era stato Domenico Aiello, già avvocato della Lega e legale personale di Maroni, che parlando con Peter Schedl, allora direttore generale della Sparkasse, cercava di ottenere un interesse vantaggioso. Le conversazioni dell’avvocato calabrese sono state intercettate dalla Dia di Reggio Calabria e pubblicate da Marco Lillo nel volume Il potere dei segreti (Paper First): anche se non hanno avuto alcuna ripercussione sul piano penale sono utili per capire cosa si muovesse sullo sfondo del Carroccio all’epoca. “Andiamo via in una situazione che è il 3 e mezzo. Lui indicava il 4, c’ero io quando ha chiamato”, dice Aiello intercettato riferendosi a Brandstatter. “Il 4 non è possibile – risponde il dg – facciamo così partiamo dal 3 e mezzo e poi da lì vediamo strada facendo”. L’anno successivo Salvini – appena eletto segretario – ordina di spostare quei soldi su un conto in Banca Intesa.