Ci sono tutti. Gli operai dell’Ilva, in primis, alle prese con l’ultima curva di una crisi che dura da 7 anni e la prospettiva che altri 4.800 operai su 10.700 dipendenti debbano lasciare le acciaierie se non si troverà un accordo tra ArcelorMittal e il governo. Ma anche i lavoratori Whirlpool di Napoli, i dipendenti dell’ex Embraco e dell’ex Alcoa, due riconversioni che ballano tra i ritardi e il fallimento, e ancora i metalmeccanici di Bosch, Cnh Industrial, Industria Italiana Autobus, Bekaert e Piaggio Aerospace. E poi ancora, fuori dalle fabbriche, Alitalia, Almaviva, Mercatone Uno e Conad. Lo sciopero negli stabilimenti Ilva – secondo fonti Fiom – ha avuto una partecipazione altissima: tutti gli impianti sono fermi, con il 90% dei lavoratori rimasti fuori dall’acciaieria di Taranto, l’80% a Genova e Novi Ligure e il 100% a Racconigi, Padova e Marghera.
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“Zero esuberi e piani industriali seri”
Crisi industriali vecchie e nuove accomunate da una soluzione che non c’è o tarda ad arrivare. In piazza Santi Apostoli, convocati dai sindacati, gli operai manifestano insieme chiedono al governo di sbloccare l’impasse dei 160 tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo Economico: la manifestazione-assemblea è incentrata sui temi della crescita, delle crisi aziendali, dello sblocco di cantieri e infrastrutture e dello sviluppo del Mezzogiorno. In piazza sono intervenuti i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, ma anche di sei delegati aziendali a portare la propria voce sulle vertenze aperte. “Noi non vogliamo lasciare per terra nessun lavoratore e nessuna lavoratrice. Da Alitalia all’Ilva vogliamo esuberi zero e piani industriali seri e importanti che diano prospettive”, ha detto Furlan. Stesso concetto su Ilva per Landini: “Al governo diciamo che noi abbiamo firmato un accordo approvato dai lavoratori, e quell’accordo non prevede esuberi né licenziamenti. Quindi per noi questo punto non è oggetto di discussione, e il governo lo deve sapere”. Sempre all’esecutivo, il leader della Cgil ha rivolto un avviso: “Basta parole, è il momento dei fatti”.
Re David: “Fermare desertificazione”
“Le crisi – dice la leader della Fiom Francesca Re David – stanno colpendo tutti i settori, dall’elettrodomestico alla siderurgia e all’automotive, dall’elettronica all’informatica fino alle istallazioni. Sono necessari investimenti, pubblici e privati, per mettere in moto gli ammortizzatori sociali vecchi e nuovi, per poter affrontare la fase di transizione industriale verso nuovi modelli di sviluppo ecosostenibili”. È questo il modo per la leader dei metalmeccanici Cgil “per fermare la chiusura di stabilimenti e per essere protagonisti del cambiamento, salvaguardando l’occupazione e migliorando delle condizioni di lavoro attraverso l’innovazione”.
Palombella: “Il governo decida”
Il segretario della Uilm Rocco Palombella sottolinea come era “da anni” che non si vedeva “una grande manifestazione come quella di oggi”. Da Taranto sono partiti circa 1000 operai dell’Ilva: “È una situazione drammatica e complicata, resa ancora più esplosiva dai diversi scenari che ogni giorno vengono pubblicati sugli organi di stampa”, dice il sindacalista a Radio Anch’io auspicando una “decisione chiara e netta del governo sul risanamento ambientale, sulla tutela e garanzia dei livelli occupazionali e la continuità produttiva con o senza ArcelorMittal”. “In questo momento non ci fidiamo né di ArcelorMittal, che è gravemente inadempiente rispetto all’accordo del 2018, né del governo che non ha ancora una linea chiara. Non crediamo a un piano industriale che preveda due fasi, perché si deve garantire strutturalmente una continuità produttiva”, spiega annunciando che i sindacati “non permetteranno che ci siano migliaia di esuberi e la diminuzione dei salari dei lavoratori come prevede il piano presentato dall’azienda”.