di Carlo Fusco
Viviamo in una crisalide insulare. Qui dentro raccontiamo una storia che riecheggia ovunque: la fiaba di una terra popolata da centenari, un luogo magico, selvaggio e incorruttibile. È l’immagine da cartolina di un’isola felice e incontaminata, che purtroppo non trova conferma nella realtà. Effettivamente la Sardegna è corrotta da tempo, così come la politica alle sue spalle, disinteressata alla salute dei cittadini e usurpata dalle lobby.
Mentre i lavoratori sorridono senza denti alla faccia del ricatto occupazionale, abbracciando quindi la retorica stantia della produzione industriale come insostituibile fonte di lavoro, l’isola continua a essere una delle regioni più inquinate d’Italia.
Secondo il rapporto Sentieri, 445mila ettari del suo territorio sono contaminati da veleni che hanno impregnato l’aria, l’acqua e il suolo, sostanze tossiche che continuano a uccidere silenziosamente chiunque abbia la fortuna di vivere in un Sin (Sito di interesse nazionale per le bonifiche). Porto Torres, il Sulcis Iglesiente e Sarroch, dove, secondo la ricerca epidemiologica pubblicata da Mutagenesis, rivista dell’università di Oxford, i nuovi nati presentano evidenti alterazioni del Dna.
L’incidenza tumorale ha raggiunto da più di un decennio picchi altissimi, ben al di sopra della media nazionale, soprattutto nei pressi di siti industriali e militari, nei quali aleggia – premonitore di morte – il tanfo di carbone, alluminio, piombo e amianto. Numerose tessere concorrono a creare il grande mosaico di desolazione che ritrae l’isola.
La Sardegna sta attraversando un rapido processo di desertificazione. Se l’acqua scarseggia e il verde brucia non è solo la terra a essere desertica, lo sono anche i centri abitati, privi della vitalità che solo l’espressione dirompente dei giovani può fornire a una comunità affinché essa sia definita tale.
Intanto i pochi rimasti, confinati tra le rive cristalline di un’isola carceriera di se stessa, protestano per un futuro migliore. Imbarcandosi nella stessa avventura di milioni come loro in tutto il mondo, si trovano a dover fare i conti con una sorda comitiva ottocentesca di politici e industriali. Sono gli stessi padroni che hanno causato e permesso tutto ciò, gli stessi “ideatori” del progetto di metanizzazione accolto dalla Regione Sardegna, cornice ideale di questo macabro idillio.
Si tratta del processo che renderebbe l’isola un hub europeo del gas fossile, attraverso la costruzione di una dorsale, di depositi e rigassificatori. Le ragioni per non intraprendere questa strada sono molte, ma sarebbe sufficiente la prima, la più ovvia. Il metano infatti è un combustibile fossile climalterante.
L’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) è stato molto chiaro riguardo l’utilizzo delle fonti di questo tipo: per fermare i cambiamenti climatici c’è un solo modo, dimenticarle al più presto per intraprendere la strada delle energie rinnovabili, attraverso una transizione equa e profonda. Per di più, è stata recentemente smentita la tesi secondo cui gli impianti a gas siano meno inquinanti rispetto a quelli a carbone.
A testimoniarlo uno studio prodotto dal think tank tedesco Energy Watch Group che, cercando di fare chiarezza sulla conversione, ha calcolato che sostituire le centrali a carbone esistenti con nuove centrali a gas porterebbe a un incremento complessivo delle emissioni di gas a effetto serra del 41%. Non solo minaccia climatica, la costruzione della dorsale diverrebbe un problema ambientale per l’isola, cancellando dalla sua superficie aree agricole e boschive, oltre a inquinare le falde acquifere e aumentare considerevolmente il rischio incendi.
Il progetto è anche sovradimensionato dal punto di vista energetico. Il fabbisogno sardo va infatti da 430 a 900 milioni di metri cubi di gas metano, mentre l’apporto che verrebbe fornito sarebbe di 6,4 miliardi di metri cubi. Infine la possibilità di collegarsi alla dorsale dipenderà esclusivamente dalle tasche dei contribuenti, già svuotate per finanziare grandi opere come questa, per una spesa di 2 miliardi di euro.
Risorse che di fatto vengono regalate a chi continua impunemente a ridurre all’osso terre e comunità, calpestare famiglie e distruggere cittadini indifesi. Giungere a una conclusione non è mai stato più semplice: la Sardegna non ha bisogno del metano, come non ha bisogno del carbone. L’isola del sole, del mare e del vento può diventare invece un modello per l’intero pianeta: verde, salubre e interamente rinnovabile.