Come Mohamed Bouazizi, otto anni dopo. Un ragazzo della città di Jelma nel governatorato di Sidi Bouzid, la regione centrale della Tunisia dove ha avuto inizio la rivoluzione dei Gelsomini, si è dato fuoco in piazza. Un tentativo disperato di denunciare la propria condizione sociale: secondo la stampa locale, Abdelwaheb El-Hablani era stato escluso dalla lista dei beneficiari di un programma di reinserimento statale dedicato a giovani disoccupati e da mesi non riceveva più uno stipendio. Il venticinquenne è deceduto sabato scorso in ospedale dopo aver riportato ustioni gravi sul 95% del corpo. E domenica 10 dicembre le manifestazioni nell’entroterra tunisino sono ricominciate: da cinque giorni, ormai, le strade che circondano Jelma sono bloccate da pneumatici incendiati.
Gli abitanti della città sono scesi in piazza insieme ai parenti del ragazzo. Poche ore dopo l’accaduto le autorità hanno promesso alla famiglia assistenza, sussidi e una nuova casa. Troppo tardi, secondo i manifestanti che puntano il dito contro il governo e chiedono “un’inchiesta sulla morte di Abdelwaheb”, ma anche “provvedimenti efficaci conto la disoccupazione” e “uno sviluppo reale della regione”, quest’ultimi rimasti vuote promesse dal 2011. Alcuni agricoltori si sono uniti a Jelma e hanno bloccato un’altra arteria stradale poco più a nord per denunciare il calo dei prezzi delle olive e condizioni di lavoro e di vita sempre più precarie. Nessun responsabile politico si è recato sul posto.
Effetto domino – 250 chilometri a sud di Tunisi – qui i riflettori sono puntati sulla formazione del nuovo governo – il tempo sembra essersi fermato da quando la rivoluzione ha portato alla caduta del regime di Ben Ali. Come in passato, “le proteste sono state represse dalle forze dell’ordine con abbondante uso di gas lacrimogeno. Molti ragazzi sono stati arrestati”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Abdelhalim Hamadi, militante e membro del Coordinamento nazionale dei movimenti sociali in Tunisia. E aggiunge: “Domenica, pochi istanti dopo esser arrivato a Jelma, ho visto con i miei occhi un altro tentativo di immolazione. Dopo essersi cosparso di benzina, un uomo si è arrampicato sul tetto di una casa. È stato fermato poco prima di darsi fuoco”. Il video della scena sta circolando sui social network: padre di due bambini, ha perso il lavoro da poco.
Il gesto di Abdelwaheb non è dunque un caso isolato. Soltanto un anno fa anche Abdel Razzaq Zorgui, giornalista di 32 anni, si è tolto la vita con la stessa modalità a Kasserine, un’altra regione marginalizzata dell’entroterra tunisino. Mezz’ora prima del gesto disperato, in un video postato sui social dichiarava: “Oggi comincerò una rivoluzione per gli abitanti della mia città che non dispongono di sufficienti mezzi di sostentamento per vivere dignitosamente”. Anche in questo caso, il gesto aveva dato inizio a una serie di scontri in diverse zone del Paese e nella periferia della capitale. “Stiamo assistendo a un impoverimento della classe medio-bassa e, allo stesso tempo, a un aumento importante del costo della vita. Il malcontento è generalizzato”, affermava allora Nadia Chaabane, ex membro dell’Assemblea costituente tunisina.
L’escalation di suicidi legata al disagio sociale – Un anno dopo, nulla è cambiato. Dal tempo di Bouazizi, venditore ambulante di Sidi Bouzid la cui morte, il 17 dicembre 2010, diede inizio alle cosiddette primavere arabe, auto-immolazioni e suicidi si confermano l’ultima disperata arma utilizzata dai giovani per attirare l’attenzione su un disagio sociale tanto diffuso quanto ignorato dalle autorità. Lo scottante dossier economico e sociale è ormai sul tavolo del neo-eletto presidente tunisino Kais Saied che ha affermato di voler fare della lotta alle disuguaglianze la sua “priorità”. Nonostante le nuove elezioni e quello che è ritenuto un relativo “cambio di sistema”, durante lo scorso trimestre l’Osservatorio sociale tunisino (Ost) ha registrato 2.044 movimenti sociali, 217 in più rispetto all’anno scorso.
Secondo l’ultimo rapporto realizzato da Ost e dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftds), in questo stesso periodo 47 uomini e 11 donne hanno tentato il suicidio per cause legate alla propria condizione di precarietà. La maggior parte di questi tentativi si è verificata nelle regioni di Kairouan, Gafsa o Sidi Bouzid, dove il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 35%. La media nazionale è del 15%. In altre parole: “Aumenta la povertà, aumenta la fame”, “il popolo delle periferie soffre”, “più meritocrazia”. Così recitano gli slogan esposti sotto la sede del ministero dell’interno mercoledì pomeriggio, in centro a Tunisi, durante un incontro organizzato da alcuni militanti per attirare l’attenzione della politica sul caso di Jelma.