A volte basta un filo per cambiare la storia. Quello del fuorigioco, di un gol annullato per millimetri e di un altro assegnato per ancora meno. Oppure un cartellino, rosso nello specifico, dato o non dato, questione di interpretazione. Anche così l’Atalanta ha scritto la sua storia, nel gelo della lontana Kharkiv. Battuto lo Shakthar Donetsk per 3-0. Qualificata per la prima volta agli ottavi di Champions League. Qualificata per la prima volta dopo aver perso le prime tre partite del girone, successo una volta sola nella storia. Grazie a un paio di episodi arbitrali discutibili. Grazie a una combinazione di risultati favorevoli, col City che ha fatto il suo dovere battendo la Dinamo Zagabria. Ma grazie anche e soprattutto a se stessa, alle idee di Gasperini, al gioco sempre brillante nonostante assenze pesanti, a una maturità insospettabile per una debuttante europea. Tutto perfetto.
È un’impresa, non tanto per il punteggio, che non racconta l’equilibrio di una partita giocata tutta sul filo almeno fino all’80’, ma per come è maturata. Perché anche senza l’allenatore Fonseca, sbarcato in Italia sulla panchina della Roma, lo Shakhtar non è troppo diverso dalla squadra che due stagioni fa si era qualificata per gli ottavi di Champions dove aveva quasi eliminato i giallorossi, e da anni fa bene con continuità a livello europeo. Una formazione per metà brasiliana e per metà ossatura della nazionale Ucraina che è rinata sotto la guida di Shevchenko e promette di essere protagonista a Euro 2020. Un mix che funziona e che avrebbe potuto tranquillamente passare il turno. Se non lo ha fatto, è per merito dell’Atalanta.
La partita è stata bella perché entrambe le squadre giocano a calcio e giocano bene. L’Atalanta la conosciamo tutti. Lo Shakthar ha modulo diverso ma filosofia simile, sempre improntata all’attacco (anche perché la difesa non è proprio la specialità della casa), fatta di giocate, tagli, sovrapposizioni. Il match per almeno un’ora, la prima, la più combattuta, è proseguito a folate, da una parte e dall’altra, sulla base dei rispettivi attacchi, ma anche delle notizie che arrivavano da Zagabria, perché il risultato dell’altro incontro fra Dinamo e City ha influenzato molto l’atteggiamento degli ucraini: prima più propositivi, quando il vantaggio dei croati li obbligava a vincere per passare, poi decisamente più attendisti quando l’altro risultato era favorevole. Senza rinunciare però ad essere pericolosi.
Mentre l’Atalanta spingeva, creava, tentava, i padroni di casa hanno sfiorato almeno due volte il gol. In una l’hanno anche segnato, con Kovalenko, ma il Var ha annullato per un fuorigioco a inizio azione, questione di centimetri, forse meno. Lo 0-0 all’intervallo, abbastanza casuale, è solo la dimostrazione del grande equilibrio che dovrà rompersi nella ripresa. Tocca ai nerazzurri farlo, perché intanto il Manchester ha ribaltato la partita di Zagabria e il pareggio qualificherebbe lo Shakthar. La qualità della manovra di Gasperini è la stessa di sempre, manca però l’ultimo passaggio, un po’ di presenza in area di rigore, anche comprensibilmente viste le assenze di Ilicic e Zapata, due terzi dell’attacco titolare.
Quando i tifosi cominciano a rimpiangerli, ecco che la partita gira a metà ripresa. Lo fa in una manciata di minuti, per tre episodi arbitrali. Il primo è un regalo del direttore di gara, che non espelle Muriel, già ammonito, per un brutto fallo da dietro al limite dell’area, chiaramente da doppio giallo: come faccia il tedesco Zwayer a valutare diversamente è un mistero. Il secondo è l’intervento del Var, che assegna la rete di Castagne, nata da un assist di Gomez sul filo di un fuorigioco millimetrico che non c’è. Il terzo invece è una decisione del guardalinee, che suggerisce all’arbitro il rosso diretto per il terzino Dodò, colpevole di una manata tanto nervosa quanto leggera. Alla fine il saldo è decisamente favorevole per l’Atalanta. Come il punteggio. In vantaggio di un uomo e di un gol, con i padroni di casa fuori di testa e dalla Champions, arriva anche il raddoppio della sicurezza, con una zampata di Pasalic da calcio piazzato. Poi anche il sigillo finale, a tempo, scaduto, di Gosens in contropiede. L’Atalanta è una “dea”. Da oggi anche in Europa.