Un esonero contributivo al 100% per tre anni per le società sportive femminili che stipulano con le atlete contratti di lavoro sportivo. È il contenuto dell’emendamento alla manovra approvato dalla commissione Bilancio del Senato che rappresenta una prima apertura storica al professionismo nello sport per le donne in Italia. Ancora non è un obbligo, come succede ad esempio per il calcio maschile dalla Serie A alla C, ma permette alle società di poter usufruire di uno sgravio totale dei contributi e incentiva così l’estensione di tutte le tutele previste dalla legge 91 sulle prestazioni di lavoro sportivo anche alle atlete donne. “Si tratta di un primo importantissimo passo, proseguiremo in questo percorso per consentire alle atlete italiane di coltivare il proprio talento sportivo in condizione di sempre maggiore parità con i colleghi maschi”, commenta la senatrice del Movimento 5 stelle Susy Matrisciano, co-firmataria dell’emendamento insieme al collega del Pd Tommaso Nannicini.
È di pochi giorni fa, inizio dicembre, la notizia dell’addio al calcio a soli 32 anni di Giulia Orlandi, calciatrice che fu capitano della Fiorentina nell’anno del primo e unico scudetto. Ha dovuto scegliere tra il calcio e il lavoro, proprio per via della mancanza del professionismo nello sport femminile. “C’è una legge dello stato che non prevede il professionismo per le donne, lo prevede solo per gli uomini. Questa è una discriminazione“, commentava Milena Bertolini, ct della nazionale femminile di calcio, ai microfoni di Rai Radio2. L’emendamento rappresenta un primo passo per combattere questa discriminazione: introduce non ancora l’obbligo, ma un forte incentivo a equiparare le atlete agli atleti, almeno dal punto di vista contrattuale.
“Se c’è un settore in cui la disparità di genere è tenacemente e odiosamente presente è quello dello sport. Sul professionismo alle atlete finalmente passiamo dalle parole ai fatti“, afferma la senatrice Matrisciano. “Nello specifico – spiega l’esponente M5s – abbiamo introdotto un incentivo per le società che stipulano con le atlete contratti di lavoro sportivo, vale a dire l’esonero del versamento del 100 per cento dei contributi previdenziali e assistenziali ‘entro il limite massimo di 8mila euro di su base annua’”. Tommaso Nannicini, senatore Pd e primo firmatario dell’emendamento, esulta: “Sono molto soddisfatto, perché è un primo passo concreto per fare in modo che le atlete che dedicano la propria vita e il proprio lavoro allo sport abbiano le stesse tutele dei loro colleghi maschi. Ringrazio l’Associazione Italiana Calciatori e Calciatrici e tutte le atlete dei diversi sport che si sono mobilitate per sostenere questo emendamento”, aggiunge Nannicini. “Adesso la battaglia continua”, conclude il senatore democratico.
Quando è stato presentato il testo firmato da Nannicini e Matrisciano, la reazione delle atlete interpellate è stata più o meno univoca: “Era ora“. “In Francia io ero dipendente del PSG e lì il campionato femminile è semiprofessionista. Esistono i contratti federali che le società sono libere di offrire alle atlete”, raccontava Sara Gama, capitana della Juventus e della Nazionale femminile. Per la prima volta questo emendamento apre a una strada simile anche in Italia. Anche perché quella dell’obbligo non è priva di insidie. Ad avvertire dei pericoli è stato anche il vicepresidente dell’Uefa, Michele Uva: “Sì al professionismo nello sport femminile italiano, a patto che il sistema non rimanga in piedi solo grazie ai club maschili”. Tradotto: introdurre ora l’obbligo significherebbe creare una disparità interna, perché solo le società più facoltose sarebbero in grado di sostenere le spese.