Tic, toc, tic, toc… Il pendolo avanza inesorabile a scandire il passar del tempo, cosa che di solito porta all’accadere di un qualche evento. La conclusione di una partita di Champion’s? L’apertura delle urne in Emilia e Calabria? L’arrivo di Babbo Natale attraverso il camino? No, l’entrata in vigore di una riforma che il Guardasigilli sta presentando come la panacea a tutte le ingiustizie, a tutte le incertezze delle pene e del diritto di cui soffre questo paese.

Ma davvero? Cioè, basterà la bacchettata magica che risponde al nome di interruzione del decorso della prescrizione per rendere l’Italia una nazione non più sanzionabile dall’Europa in campo giuridico? No, penso proprio di no. Anzi.

Per cominciare, i dati. Una leggenda metropolitana trasformatasi in fake news vuole farci credere che oramai qui da noi non c’è più nessuno che viene condannato (o assolto perché alla fine giudicato innocente) e che i cattivoni, assassini, stupratori, mafiosi e corrotti non vengono puniti a causa della legge sulla prescrizione, perché non si sospende il conteggio dopo il processo di primo grado.

Le cose non stanno così. Intanto non confondiamo le condanne avvenute ma scontate in parte – o in una misura che l’opinione pubblica considera troppo leggera – con un imputato il cui reato viene prescritto. Soffermiamoci su questi ultimi. Un agevole specchietto messo a disposizione dall’Unione delle Camere penali su fonte ministero della Giustizia ci fa sapere due cose che definirei fondamentali.

1. La prima è che di tutti i processi celebrati nell’anno 2017, circa un milione, il 13% è stato prescritto (fonte Agi) mentre la stragrande maggioranza è andata a conclusione. Il 13% di processi finiti senza avere la certezza della colpevolezza o dell’innocenza delle persone messe sotto giudizio è comunque una cifra da tenere sotto controllo. Intanto, proviamo a scomporla. Suddividendo i dati in base al grado di giudizio, troviamo una seconda sorpresa: a essere prescritti sono in grandissima parte i procedimenti in fase preliminare, la cui durata media si aggira (udite udite) intorno ai 4 anni. In percentuale sul numero dei fascicoli prescritti, il 53% avviene nelle fasi preliminari prima del dibattimento (fonte Ucp).

Il che ci porta ad altre due considerazioni, ugualmente importanti. Numero uno: se ad essere prescritte sono le indagini preliminari, che senso ha interrompere il conteggio dei termini dopo il primo grado, sbandierandolo come la soluzione di tutti i mali? A quel punto, circa 67mila casi sono già andati. Spariti, affondati, perduti. Numero due: nella fase preliminare l’iniziativa è tutta praticamente in capo all’ufficio del giudice. Spiace dirlo, ma è così e nessuno strillo può ribaltare questa realtà. Nella fase preliminare, l’avvocato – e quindi l’indagato – non ha quasi voce in capitolo.

2. Perciò arriviamo al punto successivo, altro grande argomento a sostegno della riforma. E cioè che sia necessaria per bloccare gli avvocati manipolatori dei soliti cattivoni. Oh, badate: io detesto i cattivoni forse più di voi, ma non ho intenzione di lasciar calpestare i diritti del singolo in nome dell’incapacità della politica di assumersi le responsabilità che le spettano. Se però i dati citati sono corretti, statisticamente il problema non è l’avvocato del Berlusconi di turno.

In aggiunta, vi svelo un segreto (che tra gli addetti ai lavori segreto non è, ma in questi giorni si finge di non saperlo): la riforma non intacca (non può farlo) il principio del legittimo impedimento del difensore o dell’imputato che, ad essere sospettosi, si può considerare il più usato metodo di rinvio. E il legittimo impedimento non interrompe il decorrere dei termini. Il che è già di per sé un duro colpo alla teoria che la riforma sia il toccasana contro la malafede di certi nostri concittadini.

Riflettete infine sulla norma per cui il conteggio dei termini viene interrotto anche dopo un’assoluzione di primo grado. Una persona viene assolta, ma si darà agio all’accusa di presentare ricorso prendendosi tutto il tempo che vuole e alle Corti d’Appello di non preoccuparsi del tempo nel mettere in calendario il procedimento, di svolgerlo, eccetera.

Chiudo rammentando che, fra l’altro, molti termini prescrittivi sono già stati allungati alla radice. A parte i reati per così dire imprescrittibili, molte figure sono state riviste ad esempio alla luce di nuove norme. Il maltrattamento in famiglia, ad esempio, non si estingue più in 7,5 anni ma in 15. E molti altri sono stati raddoppiati.

Ecco, di tutte le storture del processo italiano, questa riforma mi pare la più insensata. Fine processo mai. Ed è assai preoccupante che si riducano le garanzie per il cittadino in nome di una battaglia contro i furbi e potenti, invece di trovare gli strumenti che taglino loro le unghie là dove sono più sensibili. Ad esempio, sui soldi. Se si vuole evitare la prescrizione, cosa sana e giusta, si lavori per accorciare i tempi processuali. Senza scuse.

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