Per le aziende italiane le opportunità offerte dall’economia verde potrebbero valere più dei rischi legati all’emergenza climatica. 67 miliardi di possibili guadagni contro 44 miliardi di perdite. Un’occasione ancora da sfruttare considerato che le imprese del nostro paese fanno ancora troppo poco per ridurre le emissioni. È la fotografia delle aziende e delle città italiane davanti alla sfida dell’emergenza climatica, raccontata nel report annuale di Carbon Disclosure Project (CDP) organizzazione no-profit specializzata in temi ambientali. Il rapporto è stato presentato alla COP25, conferenza ONU sul cambiamento climatico a Madrid, nel padiglione italiano con la presenza del ministro dell’Ambiente Sergio Costa. “Una maggiore trasparenza e responsabilità tra le organizzazioni a maggiore impatto in Italia è fondamentale per garantire che possiamo monitorare i progressi e aumentare le ambizioni”, ha commentato Costa.
L’organizzazione no-profit CDP ha analizzato oltre 45 aziende italiane a grande impatto ambientale e 34 città e regioni per raccontare l’emergenza climatica. L’Italia è uno dei paesi più vulnerabili e si sta riscaldando velocemente, le temperature medie annuali in Italia hanno segnato un nuovo record di +1,71 gradi secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). La ricerca di CDP è iniziata dai possibili rischi aziendali causati dai cambiamenti climatici che potrebbero essere di 44 miliardi: 37 miliardi per il mancato adattamento in ambito legislativo e di mercato e altri 7 miliardi per i danni causati da eventi estremi come la siccità e le alluvioni. Si tratta di perdite economiche che sono già visibili, come è successo durante l’ultima acqua alta a Venezia che ha fatto centinaia di milioni di danni alle imprese locali. Per quanto riguarda i possibili guadagni, invece, sono stati calcolati attraverso le “potenziali opportunità finanziarie, la maggior parte relative allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi con livelli più bassi di carbonio”.
“Le aziende, le città e le regioni italiane hanno compiuto buoni progressi per essere più trasparenti sui rischi e sulle opportunità della transizione verso modelli a basse emissioni di carbonio” ha dichiarato Steven Tebbe, direttore generale della sezione europea di CDP. “Il nostro rapporto sull’Italia chiarisce che c’è ancora molta strada da fare in linea con l’accordo di Parigi. Gli obiettivi di emissione delle imprese non sono abbastanza ambiziosi e pochi sono basati ufficialmente sulla scienza”. Benché il 60 per cento delle aziende abbiano già fissato dei traguardi di riduzione delle emissioni, nella maggior parte dei casi non riguardano la totalità delle loro attività. Un altro punto nevralgico per la transizione ecologica riguarda le città. In Italia 65 città e regioni hanno già dichiarato lo stato di emergenza climatica. Le più colpite sono quelle del Nord Italia dove le temperature sono aumentate nell’ultimo secolo fino a 1,2 gradi, secondo la ricerca One Degree Warmer dell’organizzazione European Data Journalism Network.
Le città più a rischio sono Venezia, Roma e Parma, parte degli oltre 3/4 dei centri urbani che sono risultati vulnerabili alle ondate di caldo, alle inondazioni e alla siccità, secondo il report di CDP. Solo il 60 percento delle città ha un piano di riduzione delle emissioni, meno di una città su quattro ha portato a termine una valutazione delle vulnerabilità e il 12 percento ha redatto un piano di adattamento ai rischi dei cambiamenti climatici, ad esempio in ambito di educazione, sicurezza e piantumazione per migliorare la qualità dell’aria. Inoltre il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici è ancora allo stato di bozza. La ricerca di CPD è stata presentata durante i giorni finali della conferenza sul clima di Madrid che si concluderà venerdì 13 dicembre. La COP25 è l’ultimo incontro dei leader mondiali prima del 2020, quando dovranno essere definiti i nuovi piani di azione climatica in tutto il mondo, per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi e rispettare gli accordi di Parigi.