Nell’arco degli ultimi 14 giorni, la Turchia ha lanciato un’offensiva sul Mediterraneo. L’attacco è prima di tutto diplomatico, ma nelle parole del presidente turco Recep Tayyip Erdogan potrebbe anche trasformarsi in un intervento militare a fianco del governo di Tripoli (Government of National Accord, Gna), se necessario. Una risposta alla Russia, che ha messo a disposizione di Haftar, uomo forte della Cirenaica, le forze speciali del Wagner Group, esercito privato russo che il Cremlino usa spesso in operazioni particolarmente delicate. A innescare questa crisi è stata l’ambizione turca di diventare la prima potenza del Mediterraneo. E Ankara sta cercando di sfruttare il fatto che il conflitto libico somiglia sempre di più a quello siriano, perché alla guerra civile si sommano interessi regionali, dentro e fuori il bacino del Mediterraneo.
Il Memorandum con il governo di accordo nazionale – Il primo atto della crisi scatenata da Erdogan è stata il 27 novembre la firma di un Memorandum d’intesa con il governo di accordo nazionale di Tripoli, l’unica entità statale libica riconosciuta dalla comunità internazionale. L’intesa prevede la costituzione di “aree di giurisdizione marittima”, argomento sul tavolo diplomatico tra i due Paesi da oltre dieci anni. All’articolo uno, è prevista una “zona economica speciale” che va per la Libia dalle città della costa orientale di Derna e Barnia (che in realtà sono sotto il controllo del Generale Khalifa Haftar) fino a un confine immaginario che corre lungo 34 chilometri (18.6 miglia marittime), a circa 80 chilometri a sud est dell’isola di Creta. Per la Turchia invece comincia dallo stesso confine in mare e termina a Nord nella striscia di terra dalla città di Kas a Fathiye. L’istituzione di questo nuovo confine – possibile secondo quanto prevede il diritto marittimo internazionale – ridisegna i confini marittimi tra i due Paesi e prevede collaborazioni nello sfruttamento delle risorse marittime, escluse quelle energetiche. Come ha dichiarato lo stesso Erdogan, in questo caso in cima alle priorità dell’accordo c’è l’esplorazione congiunta Turchia-Libia a largo delle coste di Cipro. È un Memorandum d’intesa perché, come nel caso di quello del febbraio 2017 firmato con il governo di Tripoli con il ministro Marco Minniti, non è necessaria una ratifica del Parlamento libico, che stando a Tobruk, in una zona d’influenza di Haftar, sarebbe in larga parte contrario. Ankara invece ha avuto anche l’avallo del parlamento in tempi record: sette giorni.
Le conseguenze dell’accordo: lo scontro Grecia-Turchia – Chiara la posizione della Grecia: l’accordo “è una minaccia per la stabilità regionale”, ha commentato al quotidiano greco Ekathimerini il portavoce del governo Stelios Petsas, il 10 dicembre. Secondo Atene, l’accordo Turchia-Libia è l’ennesimo tentativo di Ankara di espandere la sua zona di influenza nell’Egeo. La Grecia ha cacciato dal Paese l’ambasciatore libico, perché avrebbe negato l’esistenza di questo accordo. Ha poi inviato due lettere all’Onu per chiedere un intervento delle Nazioni Unite, definendo l’accordo “in malafede” e chiedendo all’Unione europea di schierarsi in sua difesa. La dimostrazione più ovvia è che l’accordo turco-libico ignora la presenza delle acque intorno a Creta dentro questa zona economica speciale. E dalla parte di Atene si è schierata anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “L’azione della Turchia nell’Egeo è inaccettabile – ha detto -, invieremo un chiaro messaggio alla Turchia”. Condanne simili sono arrivate anche dai governi di Cipro ed Egitto. Per tutta risposta, il governo turco, per bocca del suo ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu, ha detto che l’accordo ha invece lo scopo di “proteggere i diritti della Turchia” e che Ankara è d’accordo a una “equa spartizione” delle risorse, incluse quelle a largo delle coste cipriote.
L’asse Tripoli-Ankara – Perché il governo guidato da Fayez al-Serraj a Tripoli fa sponda alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan? La risposta è semplice: i turchi sono i principali alleati sul piano militare del governo di accordo nazionale. In una conferenza stampa il 10 dicembre Erdogan ha annunciato la possibilità di schierare soldati turchi sul suolo libico proprio in virtù di un accordo militare già pre-esistente. D’altronde, come esposto nell’ultimo rapporto del Panel di esperti sulla Libia, i droni armati di ultima generazione di cui dispone Serraj – in piena violazione dell’embargo sugli armamenti dichiarato dal 2011 dalle Nazioni Unite, come per altro gli approvvigionamenti di sauditi, russi ed egiziani a supporto di Haftar – sono di provenienza turca. Nella stessa conferenza stampa, però, Erdogan ha ricordato come Haftar, definito “un fuorilegge”, schieri forze speciali del Wagner Group, esercito privato russo che il Cremlino usa spesso in operazioni particolarmente delicate. Erdogan ha detto anche di essere convinto che Mosca “rivedrà le sue posizioni” su Haftar.
Non si può negare che dalle relazioni con Ankara dipendano anche gli equilibri militari sul campo a Tripoli. La ripresa dell’avanzata verso la capitale di Haftar ha infatti coinciso con un momento in cui “nei cieli di Tripoli non vola nulla”, ha spiegato al New York Times il ricercatore dell’istituto tedesco di politica internazionale Swp Wolfram Lacher. “Aspettano tutti l’arrivo dei nuovi equipaggiamenti turchi”. Senza, Serraj non può reagire. Conferma di quanto sia cruciale l’alleato turco si ha dall’atteggiamento che ha Serraj nei confronti della polemica divampata dopo l’accordo: il governo di Tripoli non commenta.
Il quadro generale – L’Ue condanna la posizione della Turchia ma resta sostanzialmente neutrale, seppur dovrebbero essere i principali sostenitori di Serraj (soprattutto visto l’impegno con l’Italia nella gestione dei flussi migratori e nella costituzione della Guardia costiera libica). Gli Stati Uniti, coerenti con quanto fatto in Kurdistan, lasciano mani libere a Erdogan. L’appoggio più attivo arriva dal Qatar, unica tra le potenze del Golfo a prediligere il Gna invece dell’Esercito nazionale libico di Haftar. Nel Paese, peraltro, Ankara ha anche una delle sue principali basi militari. In questo quadro, sembra sempre più improbabile che alla prossima conferenza di pace a Berlino Haftar e Serraj possano trovare una soluzione diplomatica alla crisi. Il Gna è in un vicolo cieco e per uscirne ha fatto una scelta: meglio il supporto militare a quello diplomatico.