Lo rileva una ricerca dell'associazione Vidas, presentata venerdì a Milano. I più preparati e favorevoli al testamento biologico sono i cittadini residenti nelle regioni del nord-ovest, atei o agnostici, di età compresa tra i 26 e i 40 anni e con un livello di istruzione medio-alto. I meno informati vivono al Sud e sono credenti over 70
In Italia solo lo 0,7% della popolazione ha redatto le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) e solo 3 persone su 10 si sono poste in generale il problema di pianificare il proprio fine vita. Le Dat sono le dichiarazioni nelle quali i cittadini comunicano a quali cure vogliono o non vogliono essere sottoposti in caso di futura incapacità di decidere. Le più sensibili al tema sono le donne, non credenti, di età compresa fra i 26 e i 40 anni. Lo rileva una ricerca nazionale promossa da Vidas, associazione che offre assistenza sociosanitaria a persone con malattie inguaribili, e realizzata da Focus Management su un campione statisticamente rilevante della popolazione italiana composto da 1602 cittadini.
I dati sono stati pubblicati qualche giorno dopo che il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato il decreto per la banca dati delle Dat, che rende pienamente operativa la legge approvata dal parlamento a fine 2017. A più di un anno dall’entrata in vigore del testo, infatti, il nodo principale era proprio la mancanza del registro nazionale delle Dat.
I più preparati e favorevoli al testamento biologico sono i cittadini residenti nelle regioni del nord-ovest, atei o agnostici, di età compresa tra i 26 e i 40 anni e con un livello di istruzione medio-alto. I meno informati vivono al Sud e sono credenti over 70. Misurando il livello di favore a redigere il biotestamento con una scala da 1 a 7, dove 1 è “assolutamente contrario” e 7 è “assolutamente favorevole”, il valore medio nazionale è 4,5. Le tre regioni più favorevoli sono Basilicata (5,3), Piemonte (4,9) e Lombardia (4,7).
Per il 32% il momento perfetto per sottoscrivere le proprie disposizioni è prima possibile, anche in condizioni di perfetta salute, mentre per il 25% è opportuno in caso di grave malattia. Ciononostante la tendenza è quella di posticipare a un tempo non definito la decisione e la sua attuazione. Il biotestamento infatti, pur essendo considerato il mezzo per garantire il diritto a una morte dignitosa e per tutelare le volontà della persona, è ancora circondato dalla paura di possibili abusi e dell’abbandono dei malati. Il timore principale è che possa introdurre nel nostro ordinamento giuridico il diritto alla morte.
“A preoccupare non è il numero delle Dat già depositate presso i Comuni, – ha spiegato Barbara Rizzi, medico palliativista e direttore scientifico di Vidas – ma che troppi Comuni ancora non si siano attrezzati per la loro raccolta. Dal mio punto di vista di medico ancora più preoccupante è la scarsa conoscenza della legge nel mondo sanitario e in particolare tra i medici, da quelli di base fino a quelli di pronto soccorso e agli anestesisti rianimatori”.