Per rendere operativa la norma mancava solo la circolare, che è stata pubblicata venerdì dopo mesi di attesa. Il congedo si può posticipare solo se si presentano certificati medici che attestino che l'opzione non pregiudica la salute della madre e del nascituro
È stata sbloccata la possibilità per le donne incinte di lavorare anche gli ultimi mesi di gravidanza, in modo da usare l’intero congedo direttamente dopo il parto. L’Inps ha appena pubblicato una circolare, che dà istruzioni operative sulla norma della legge di bilancio per il 2019 che ha previsto la possibilità di lavorare fino al nono mese per usare il congedo di 5 mesi esclusivamente dopo il parto. Fino ad ora le domande arrivate sono state sospese in attesa dei chiarimenti. Di fatto da venerdì è possibile presentare telematicamente la domanda e vederla accolta. La possibilità è subordinata alla condizione di presentare certificati medici che attestino che l’opzione non arreca pregiudizio alla salute della madre e del nascituro.
La legge di bilancio 2019 afferma che le lavoratrici hanno facoltà “di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”. La documentazione sanitaria deve essere acquisita dalla lavoratrice nel corso del settimo mese di gravidanza. Le certificazioni mediche dovranno “attestare esplicitamente l’assenza di pregiudizio alla salute fino alla data presunta del parto ovvero fino all’evento del parto qualora dovesse avvenire in data successiva a quella presunta”. Le certificazioni consentiranno lo svolgimento dell’attività lavorativa “fino al giorno antecedente alla data presunta del parto, con conseguente inizio del congedo di maternità dalla data presunta, e per i successivi cinque mesi”.
L’interdizione dal lavoro per gravi complicanze della gravidanza “è compatibile” con la possibilità di lavorare fino al nono mese purché i motivi alla base dell’interdizione cessino “prima dell’inizio del congedo di maternità ante partum”. È invece incompatibile con l’opzione l’interdizione al lavoro legata alle condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute.
L’insorgere di un periodo di malattia prima dell’evento del parto, tra il settimo e il nono mese, “comporta l’impossibilità di avvalersi dell’opzione”. Nel giorno di inizio della malattia (anche qualora fosse un singolo giorno), la lavoratrice inizia il proprio periodo di congedo di maternità e le giornate di astensione obbligatoria non godute prima si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto.
La lavoratrice può rinunciare all’opzione data solo prima dell’inizio del periodo di congedo di maternità ante partum. Qualora, tuttavia, la lavoratrice manifestasse la decisione di non volersi più avvalere dell’opzione dopo l’inizio del periodo di maternità ante partum, il congedo di maternità indennizzabile sarà computato secondo le consuete modalità (due mesi prima del parto e tre mesi dopo). Quindi i periodi prima del parto lavorati prima della rinuncia saranno comunque computati come periodo di maternità, ma non saranno indennizzati poiché la futura mamma ha lavorato.