“Siccome faccio parte di questo Stato e voglio contribuire alla verità, intendo rispondere”. Con queste parole Annamaria Palma ha comunicato ai giudici di Caltanissetta l’intenzione di rispondere alle domande, al processo che vede imputati per calunnia aggravata Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo, i funzionari di polizia che facevano parte del gruppo di investigatori che condusse l’inchiesta sulla strage di via d’Amelio. All’epoca Palma era una delle pm della procura nissena che indagò sull’autobomba che il 19 luglio del 1992 uccise Paolo Borsellino.

Palma, che ha chiesto di non essere ripresa dalle telecamere presenti in aula, si sarebbe potuta avvalere della facoltà di non rispondere visto che è indagata di calunnia aggravata insieme al collega Carmelo Petralia nel procedimento connesso a quello nisseno, aperto a Messina. In pratica sia i poliziotti a giudizio che i magistrati indagati sono accusati di aver depistato le indagini su mandanti ed esecutori della strage di via d’Amelio. Secondo la ricostruzione della procura, gli inquirenti dell’epoca – pm e investigatori – avrebbero creato a tavolino pentiti imbeccandoli, costringendoli ad accusare otto innocenti e depistando così le indagini. Palma è attualmente avvocato generale a Palermo, mentre Petralia, pure citato per oggi, è in servizio a Catania.

Nei mesi scorsi i pm di Messina, che hanno la competenza sulle indagini a carico dei colleghi catanesi, ha scoperto una serie di bobine, mai analizzate prima, con le registrazioni delle intercettazioni di telefonate tra il falso pentito Vincenzo Scarantino, uno dei protagonisti chiave del depistaggio, alcuni investigatori dell’epoca e i due pm. A giugno la Procura della Città dello Stretto notificò ai due magistrati l’avviso di garanzia e l’iscrizione nel registro degli indagati contestualmente alla notizia che sulle bobine sarebbero stati effettuati accertamenti tecnici. Quelle conversazioni sono ora agli atti del processo in corso a Caltanissetta a carico dei poliziotti.

Durante la deposizione ci sono stati momenti di tensione, con il presidente Francesco D’Arrigo costretto a sospendere l’udienza per cinque minuti. A fare scoppiare la lite è una frase della Palma, che se la prende con i difensori di parte civile degli imputati che furono condannati ingiustamente al processo Borsellino. “Io venivo attaccata in aula dai difensori degli imputati che oggi sono parte civile”, ha detto Palma. Insorge l’avvocato Giuseppe Scozzola, che difende Gaetano Scotto e Vincenzo Orofino. “Se noi siamo parte civile è perche siamo stati calunniati“, ha detto. E la Palma: “Lei sedeva a difendere gli imputati“. E Scozzola alzando ancora di più la voce: “Imputati che sono stati assolti e revisionati”. E aggiunge: “La smetta. Non permetto che un indagato di reato connesso faccia queste affermazioni”. A questo punto il giudice ha sospeso l’udienza per cinque minuti. Fiammetta Borsellino, presente in aula, è rimasta impassibile ad ascoltare il botta e risposta tra teste e avvocato.

Poi l’udienza è ricominciata. E nella sua deposizione Palma ha ha spiegato che all’epoca non aveva “mai avuto la percezione della falsità di Vincenzo Scarantino. Noi non ci siamo fermati a Scarantino, noi lo consideravamo un piccolo segmento. Scarantino non ci diceva di non voler più collaborare con la giustizia, si lamentava della sicurezza, dei soldi, di questioni logistiche, ma solo di questo”. Il magistrato ha sottolineato che la famiglia del falso pentito era contraria alla collaborazione del balordo della Guadagna: “Avevamo la certezza che la famiglia stesse tentando di minare la collaborazione o di inquinare le dichiarazioni e pensavamo che possibili ripensamenti fossero indotti dalla famiglia. Come si sente dalle intercettazioni alla famiglia che lo invitava a ritrattare rispondeva ‘io sono sicuro di quel che sò. Allora quella verità avevamo. Magari domani ce ne sarà un’altra, ma allora avevamo quella. Io non avevo notizia di suoi tentennamenti allora“.

Palma ha negato di aver mai “sentito parlare di rapporti tra la procura di Caltanissetta e il Sisde. Non ho mai incontrato nessuno del Sisde, nemmeno Contrada. Indagammo, però, in modo approfondito sull’ipotesi che Contrada fosse presente in via D’Amelio al momento della strage“. Secondo la pm fu approfondita già allora “l’ipotesi che il primo verbale redatto dopo l’attentato fosse poi stato strappato perché rivelava la presenza di Contrada in Via D’Amelio. Indagammo su questo verificando innanzitutto i tabulati di Contrada e dalla cella telefonica risultò che si trovava in barca al momento dell’esplosione ma non ci fermammo a questo”.

Nella deposizione di Palma spazio anche alla questione della scomparsa dell’agenda rossa, mentre venne ritrovata l’altro diario di Borsellino, di colore grigio. “Dall’agenda di Borsellino – ha spiegato – avevamo saputo poi che era andato al ministero dell’Interno il 1 luglio. Trovai l’agenda andando a persuadere la moglie di Borsellino a deporre. Lei mi portò a vedere lo studio del marito e io le chiesi se potevo sfogliare il diario in cui lui annotava gli spostamenti. Era ferma al 17 luglio. Mi fu detto che erano le stesse cose che annotava nell’agenda rossa, però, sotto il profilo degli spostamenti. “Scoprimmo dall’agenda – ha concluso – che era andato al Viminale e che lo stesso giorno era andato a interrogare Mutolo. Sapevamo già dalle dichiarazioni di Mutolo che Borsellino durante l’interrogatorio si era allontanato. Non accertammo mai però che in quell’occasione aveva incontrato Contrada. La pista Contrada fu ampiamente approfondita, ci rimase però sempre il sospetto dell’incontro con Borsellino nei corridoi del Viminale”.

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