Il parlamento ha approvato una misura che concede maggiori diritti agli irregolari provenienti da Pakistan, Bangladesh e Afghanistan, ad esclusione degli islamici. Secondo il governo, il provvedimento mira a proteggere i gruppi più vulnerabili della popolazione dalle persecuzioni nei paesi d’origine. Secondo i critici, invece, è l’ennesima prova che il premier Narendra Modi stia spingendo per un programma nazionalista a favore della maggioranza indù
È stata approvata in India una legge che consente di ottenere la cittadinanza agli immigrati illegali, tranne nel caso in cui siano musulmani. La misura è stata definitivamente approvata dal Parlamento mercoledì 11 dicembre, quando la Camera alta si è espressa con 125 voti favorevoli e 105 contrari, dopo che la Camera bassa l’aveva ratificata lunedì con 300 voti positivi e solo 80 contrari. Il provvedimento prevede il riconoscimento della cittadinanza indiana ai migranti irregolari che siano entrati nel Paese prima del 2015 e che siano di religione indù, cristiana, parsi, buddista, giainista o sikh. Sono beneficiari della legge gli immigrati provenienti da Pakistan, Bangladesh e Afghanistan, che tuttavia sono Stati a maggioranza musulmana. L’approvazione della misura ha scatenato critiche da tutti i lati dello schieramento politico. L’opposizione ha accusato il governo di essere discriminatorio, mentre in alcuni stati dell’India gli abitanti hanno protestato perché ritengono che la legge favorisca l’immigrazione clandestina.
Il provvedimento approvato dal parlamento prevede anche altre modifiche alla legge della cittadinanza. Sempre escludendo i musulmani, riduce da undici a cinque anni l’obbligo di residenza in India al fine di acquisire la cittadinanza e vieta l’arresto e il processo per i migranti entrati irregolarmente nel paese. Il Citizenship Amendment Bill è stato presentato originariamente dal ministro dell’Interno Amit Shah ed è visto da alcuni commentatori come una mossa per rafforzare il carattere induista del Paese.
Il decreto è avversato da molti partiti di opposizione e dalle associazioni dei diritti civili. Shashi Tharoor, leader del Partito del Congresso, lo ha definito incostituzionale per il riferimento alle confessioni religiose e l’esclusione dell’Islam e ha detto che è un ulteriore passo verso un Paese dominato dall’induismo. Anche Amnesty International si è scagliata contro la legge e ne ha chiesto l’immediato annullamento. I movimenti che si oppongono alla legge sottolineano che anche tra i musulmani ci sono minoranze perseguitate, come i rohingya, fuggiti in massa dal Myanmar, e approdati in India in migliaia, o le sette ahmedia e shias, che subiscono discriminazioni in Pakistan. Gli oppositori aggiungono che neanche ai rifugiati tamil, fuggiti dallo Sri Lanka, vengono concessi gli stessi diritti. L’altro grande motivo di critica è il legame fra cittadinanza e appartenenza religiosa, che secondo i critici violerebbe la Costituzione indiana, che garantisce a tutti uguali diritti senza distinzione di religione.
Sono le concessioni fatte agli immigrati irregolari ad aver scatenato proteste di segno opposto a Nuova Delhi e nel nord-est dell’India, soprattutto nello stato dell’Assam, dove vivono molte minoranze etniche. Organizzazioni di studenti e della società civile sono scese in piazza per quello che considerano una via libera all’immigrazione incontrollata. I manifestanti temono un’invasione di stranieri e un’allentamento dei controlli sulle espulsioni: in molti temono che la massiccia naturalizzazione dei migranti possa cambiare lo stile di vita della regione e minacciarne l’identità culturale. Scontri violenti con la polizia hanno messo a ferro e fuoco le strade e due persone sono state uccise a colpi d’arma da fuoco dalla polizia. L’uso di Internet è stato sospeso e migliaia di manifestanti sono stati arrestati.