Una gran voglia di vivere - 3/6
Repetita iuvant. Alla cassa. Fabio Volo la racconta sempre uguale. Un infinito gioco di specchi, una mise en abime della normalità del quotidiano. L’odore dei cavoletti di Bruxelles provenienti dalla cucina. Il mozzicone lanciato nell’acqua del water (come tutti noi, emoticon col cuore). In Una gran voglia di vivere (Mondadori) il modulo è lo stesso dei precedenti. Nella Milano dei giorni nostri, la speculare macerazione interiore di due quarantenni (lui architetto, lei non siamo riusciti a capirlo) che stanno per lasciarsi. La soluzione potrebbe essere un viaggio.
Titubanti, ingrugniti, con il fardello del figlio piccolo a rimorchio, partono per la Nuova Zelanda. Tra surf, coppie di italiani (felici) in vacanza, camper, cacca da fare con urgenza, Anna e Marco certificano la dolente impossibilità di proseguire insieme. Solita farina doppio zero chez Volo: la nebulosa opposizione individualità/coppia, l’ “esotico-turistico” come tentativo di sblocco, la “cultura come accessorio dell’eros” (Simonetti). Ne esce un racconto in prima persona semplificato e riduttivo, alla portata immediata di chiunque, contrassegnato dalla tipica iperbole caricata dell’autore che non prende mai una traiettoria elaborata, ma staziona nell’esempio ordinario (“guardavo quegli sconosciuti galleggiare in acqua e tutta la mia vita in un istante era messa in discussione”). Tra i rari casi in cui sulla copertina cognome e nome dell’autore sono a caratteri più grandi del titolo. Voto 5