I capelli al vento, il movimento che frega Neville e il destro a giro perfetto che fa secco Schmeichel e manda sotto il Manchester United. Poi il pareggio con Scholes. Ventitré anni fa, il 18 dicembre 1997, lo Sheffield Wednesday spaventava i Red Devils, campioni d’Inghilterra in carica e che avrebbero confermato il titolo senza particolari difficoltà: a mettere in ambasce la difesa di sir Alex Ferguson un folletto italiano. Benny Carbone, fantasista in esubero in Italia dove quelli coi piedi buoni erano troppi e volato a Sheffield: dagli Owls che vogliono rilanciarsi e investono per lui la cifra record di 3 milioni di sterline per prenderlo dall’Inter. L’altro grosso investimento è per un centravanti, Andy Booth, dall’Huddersfield: ne parleremo dopo.
Benny Carbone in Italia era una promessa: da Bagnara Calabra viene notato dal Torino, il ragazzino ha i piedi buoni, i granata lo prendono e lo aggregano alle giovanili. Poi lo mandano a giocare a Reggio Calabria, a Caserta, ad Ascoli. È bravo, e si vede ovunque: segna, fa segnare, tanto, i suoi compagni e soprattutto ha un dribbling di quelli che oggi non si vedono più. Gode nel puntare l’avversario, gode a mandarlo gambe all’aria e a inventare la giocata. Il Toro ci crede e lo riporta a casa nel 1993. Emiliano Mondonico lo fa giocare sempre e lui contribuisce con 3 gol e un mare di assist per Andrea “Pennellone” Silenzi a una buona stagione che si chiude con l’ottavo posto in campionato, la semifinale di Coppa Italia e i quarti di Coppa delle Coppe contro l’Arsenal di Tony Adams.
I granata però sono in difficoltà, devono far cassa e lo vendono alla Roma, ma in maglia giallorossa non giocherà mai. Va al Napoli, nell’ambito dell’operazione che porta Daniel Fonseca nella capitale. A Napoli si presenta con un gol pazzesco: contro la Reggiana, all’ultimo minuto col punteggio bloccato sullo 0 a 0 prende una palla innocua sul fondo, se ne va di tacco all’avversario, entra in area e infila il portiere sul primo palo. È il delirio. Il San Paolo, che per le belle giocate ha un debole e nel ’94 è ormai orfano di folletti col 10 sulle spalle, lo adotta: Gli cantano: “Prima Maradona, poi Gianfranco Zola e poi Benito Carbone”. Lui ricambia duettando con Gigi D’Alessio (sebbene non nella miglior canzone del cantautore napoletano) e giocando una grande stagione, in particolare quando Boskov sostituisce Guerini in panchina. Piace molto al mister quel funambolo dribblomane che per lui si produrrà in una delle sue frasi storiche: “Carbone con sue finte disorienta avversari ma pure compagni”.
Ma pure il Napoli è in crisi nera e, pur essendo amatissimo dai tifosi, Ferlaino, un altro che per i talenti aveva occhio, deve accettare i 6 miliardi che Massimo Moratti mette sul piatto per portarlo a Milano. In nerazzurro però non lega con Hodgson che lo fa giocare esterno: alla fine decide di andar via. C’è lo Sheffield che bussa e lui accetta: è subito amore coi tifosi biancazzurri. Tant’è che gli Owls partono con 4 vittorie consecutive in campionato, con giocate su giocate di Benny e i tifosi di Hillsborough che si stropicciano gli occhi. A quell’epoca la Premier non era l’ombelico del calcio e l’Italia era ancora la terra di tutti i campioni, perciò molti tifosi e giornalisti erano quasi stupiti: “Possibile abbiano lasciato andar via uno così forte?”.
La squadra guidata da Carbone fermerà lo United campione e poi l’Arsenal, il Chelsea di Vialli, il Newcastle di Alan Shearer. Benny segnerà 6 gol e ne farà segnare tanti ai compagni: con la squadra che chiuderà settima, perdendo l’accesso alla Coppa Uefa facendo un solo punto nelle ultime quattro partite. L’anno dopo arriverà Paolo Di Canio e con Carbone formerà un tandem splendido: 22 gol in due, giocate che commuoveranno lo stadio per bellezza e pochi, pochissimi difensori avversari che torneranno da Sheffield senza aver visto le proprie gambe violate da un tunnel di uno dei due italiani.
La squadra però non gira e si salva a stento. E lo spogliatoio si rompe: qualcuno dice che Di Canio e Carbone sono sì forti, ma troppo innamorati del pallone. L’anno dopo la squadra retrocede e i due vengono venduti: Booth, il centravanti di prima, dirà di essere contento, che non segnava perché Di Canio e Carbone non gli passavano la palla. Continuerà a non segnare anche senza di loro. Benny decide di restare in Inghilterra: vaga tra Aston Villa, Bradford City, Derby County e Middlesbrough, gioca sempre bene, regala gioia e assist ovunque va, finché sente il richiamo dell’Italia.
A Como la stagione è disastrosa, e Carbone non può farci niente. L’anno dopo a Parma invece con Marchionni, Bresciano e Gilardino e con Prandelli in panchina è protagonista di una stagione ottima che porta i gialloblù a sfiorare la Champions. Ormai 33enne, Benny scende in Serie B a Catanzaro, poi a Vicenza, quindi tenta l’avventura in Australia e infine chiude la carriera a Pavia. Resta uno dei talenti più cristallini del calcio italiano: numero 10 vero nei piedi e nella testa, di quelle teste che pensano che i tifosi che pagano il biglietto vanno ripagati con belle giocate e i difensori che aprono le gambe puniti, con un tunnel, anche quando non serve, anche quando il mister si incazza. Chissà se oggi Carbone, da mister, si incazza quando i suoi ragazzi lo imitano.