Politica

Care Sardine, non volete sentir parlare di paura: eppure ce n’è una con cui bisogna fare i conti

Care Sardine che ieri avete riempito una bellissima e civilissima Piazza San Giovanni a Roma di cittadine e cittadini – e questo è un merito grande proprio nel momento in cui la politica proposta dai partiti al Governo è apatica e con poco appeal: avete avuto l’ardire di riempire anche questa 113esima piazza, in poco più di 20 giorni. E l’avete riempita con più delle 100mila persone che, per pudore, avete annunciato. Probabilmente eravamo più vicini alle 200mila: fatevelo dire da uno che le piazze le conosce da più di 30 anni.

Oggi vi ritroverete a discutere sul futuro, ed è per questo che mi permetto di interloquire con voi. Tra i cinque punti che avete proposto, cito letteralmente: “servono leggi che non mettano al centro la paura”, ma su questo dobbiamo intenderci.

Se un macchinista sa che il suo Titanic affonderà, è inutile continuare a comportarsi come se niente dovesse accadere. Quindi se voi parlate di paura artefatta, creata ad arte a uso e consumo di una parte politica, sono assolutamente d’accordo con voi. Quando si parla di futuro e di previsioni per gli anni a venire, bisogna appoggiarsi a dati scientifici e condivisi.

Probabilmente anche voi sapete quello che hanno dimostrato i climatologi di tutto il mondo: siamo talmente in ritardo ad agire che un aumento della temperatura media globale di 2 gradi è la migliore ipotesi che abbiamo. Abbiamo appena passato l’ottobre e il novembre più caldi della storia e saprete anche che gli scienziati dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) ha confermato che abbiamo poco più di dieci anni per prendere azioni decisive per limitare il riscaldamento globale o il clima impazzirà, non si sa fino a che misura ma di certo catastrofica.

Ecco: questa è una “paura” con la quale dobbiamo fare i conti. Forse non basteranno azioni di mitigazione, ma bisognerà pensare all’adattamento, e comunque catastrofi umanitarie, naturali e sociali ci saranno. Per questo mi sono meravigliato che né voi organizzatori né nessuno dei relatori sul palco abbiano parlato dell’esigenza di agire ora per contrastare l’emergenza climatica.

La generazione dei Fridays for future da più di un anno chiede misure chiare e provvedimenti rapidi perché, come spiegano loro, gli abbiamo rubato il futuro; ma siamo ancora qui a cincischiare. Mi sarebbe piaciuto ieri sentirlo dire non da loro, ma da uno dei numerosi e autorevoli scienziati italiani che si stanno sgolando per chiedere che le istituzioni a tutti i livelli intervengano. Purtroppo l’esito della COP25 non lascia ben sperare, ma noi cittadini possiamo fare la differenza.

Non lasciamo soli i ragazzi in questa battaglia apicale, glielo dobbiamo, lo dobbiamo a tutti noi. La voce forte di cambiamento che viene dal basso può fare molto nello smuovere chi ha in mano le leve di comando senza più tentennamenti, chiedendo di fare il loro lavoro con provvedimenti che ci salvino dalla catastrofe imminente.

Forse è tardi, ma vi chiedo di pensarci bene, aggiungendo il tema ambientale tra i principali delle vostre-nostre mobilitazioni. Un futuro politically correct, trasparente, nonviolento è il massimo che ci si può aspettare, ma dobbiamo poterlo avere, un futuro, per poterlo cambiare.