Quattro donne e centinaia di altre storie analoghe. Storie di migrazione, morte, viaggi della speranza finiti in fondo al mare. Sono le madri di quattro giovani uomini tunisini, morti nel naufragio del 7 ottobre scorso. Centoquarantanove naufraghi, 19 morti annegati e ripescati a due passi dalle spiagge di Lampedusa. Altri, non si sa quanti, dispersi.
Quelle quattro donne sono state invitate dal procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella lunedì 16, per riconoscere i loro figli e poi perché dovranno raccontare la loro vicenda di madri di desaparecidos. Vite senza diritti e finite in fondo al mare. Loro sono le madri di quattro ragazzi morti in quel naufragio. Il più giovane aveva 18 anni, il più vecchio 32. Due morti e riconosciuti, due dispersi. La loro identità ricostruita grazie a esami del Dna. Due di quelle madri torneranno nel loro Paese senza neanche un corpo da mettere in una bara, perché i loro figli sono ufficialmente dispersi. In mare e senza altro diritto se non quello di morire.
Ora però la procura di Agrigento vuole raccogliere le loro testimonianze, come “persone informate dei fatti”. E’ la prima volta che accade che i parenti di queste vittime vengano ascoltati. La domanda alla quale sono chiamate a rispondere è la seguente: perché i loro figli, ora morti, sono partiti su quel barcone, destinazione Italia/Europa? E in fin dei conti, perché, per quale ragione, sono morti in fondo al Mediterraneo?
Non è questione di “cronache” del dolore. Ma di semplicissima umanità, di diritto umanitario, quello scritto nelle convenzioni internazionali. Il diritto di ascoltare le loro storie e di rivendicare una memoria. Almeno quella.
Tutte e quattro arrivano da città e villaggi sperduti della Tunisia, due da Sfax, le altre due da piccoli paesini del centro e del sud della Tunisia. Di alcune di loro sappiamo le storie. E un frammento della loro verità su quel naufragio nel quale hanno perso i loro figli.
Il più giovane, 18 anni, si chiamava Fheker e voleva girare il mondo, ma voleva anche lavorare per aiutare la madre che non ha la pensione. Il più anziano, 32 anni si chiamava Lazar, era sposato e aveva una figlia di 4 anni. Era malato di tumore. Siccome non gli avevano dato il visto per curarsi in Italia, lui aveva preso quella barca ma prima si era attaccato con lo scotch sul petto una busta di plastica nella quale aveva messo le sue cartelle cliniche. Uno potrebbe chiedersi: perché Lazar non aveva il diritto di viaggiare per curarsi, se non prendendo una barca scassata, pagando migliaia di euro a uno scafista, per poi morire comunque in fondo al mare?
Queste le storie di quelle donne, dei loro figli che non ci sono più e dei loro dolori. Per quelle quattro donne ora e per la prima volta “c’è un giudice ad Agrigento”. Forse, si vedrà.
Dicono che nei loro villaggi e nei villaggi vicini a quelli delle quattro donne tunisine inizino a sorgere altarini. Edificati da donne come quelle che ora la procura di Agrigento ha convocato e sta ascoltando. Madri che non hanno più notizie dei figli partiti, con una speranza e senza diritti, in barconi come quello naufragato a due passi da Lampedusa.
Ps. Le quattro donne tunisine sono arrivate in Italia con un visto valido per 4 giorni pagato da loro. Hanno pagato i loro biglietti aerei con l’aiuto della comunità palermitana tunisina e sono ospiti del Comune di Palermo e della consulta comunale dei migranti.
Antonio Roccuzzo
Giornalista
Diritti - 15 Dicembre 2019
Migranti, ad Agrigento convocate quattro mamme in cerca dei figli dispersi. Una questione di umanità
Quattro donne e centinaia di altre storie analoghe. Storie di migrazione, morte, viaggi della speranza finiti in fondo al mare. Sono le madri di quattro giovani uomini tunisini, morti nel naufragio del 7 ottobre scorso. Centoquarantanove naufraghi, 19 morti annegati e ripescati a due passi dalle spiagge di Lampedusa. Altri, non si sa quanti, dispersi.
Quelle quattro donne sono state invitate dal procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella lunedì 16, per riconoscere i loro figli e poi perché dovranno raccontare la loro vicenda di madri di desaparecidos. Vite senza diritti e finite in fondo al mare. Loro sono le madri di quattro ragazzi morti in quel naufragio. Il più giovane aveva 18 anni, il più vecchio 32. Due morti e riconosciuti, due dispersi. La loro identità ricostruita grazie a esami del Dna. Due di quelle madri torneranno nel loro Paese senza neanche un corpo da mettere in una bara, perché i loro figli sono ufficialmente dispersi. In mare e senza altro diritto se non quello di morire.
Ora però la procura di Agrigento vuole raccogliere le loro testimonianze, come “persone informate dei fatti”. E’ la prima volta che accade che i parenti di queste vittime vengano ascoltati. La domanda alla quale sono chiamate a rispondere è la seguente: perché i loro figli, ora morti, sono partiti su quel barcone, destinazione Italia/Europa? E in fin dei conti, perché, per quale ragione, sono morti in fondo al Mediterraneo?
Non è questione di “cronache” del dolore. Ma di semplicissima umanità, di diritto umanitario, quello scritto nelle convenzioni internazionali. Il diritto di ascoltare le loro storie e di rivendicare una memoria. Almeno quella.
Tutte e quattro arrivano da città e villaggi sperduti della Tunisia, due da Sfax, le altre due da piccoli paesini del centro e del sud della Tunisia. Di alcune di loro sappiamo le storie. E un frammento della loro verità su quel naufragio nel quale hanno perso i loro figli.
Il più giovane, 18 anni, si chiamava Fheker e voleva girare il mondo, ma voleva anche lavorare per aiutare la madre che non ha la pensione. Il più anziano, 32 anni si chiamava Lazar, era sposato e aveva una figlia di 4 anni. Era malato di tumore. Siccome non gli avevano dato il visto per curarsi in Italia, lui aveva preso quella barca ma prima si era attaccato con lo scotch sul petto una busta di plastica nella quale aveva messo le sue cartelle cliniche. Uno potrebbe chiedersi: perché Lazar non aveva il diritto di viaggiare per curarsi, se non prendendo una barca scassata, pagando migliaia di euro a uno scafista, per poi morire comunque in fondo al mare?
Queste le storie di quelle donne, dei loro figli che non ci sono più e dei loro dolori. Per quelle quattro donne ora e per la prima volta “c’è un giudice ad Agrigento”. Forse, si vedrà.
Dicono che nei loro villaggi e nei villaggi vicini a quelli delle quattro donne tunisine inizino a sorgere altarini. Edificati da donne come quelle che ora la procura di Agrigento ha convocato e sta ascoltando. Madri che non hanno più notizie dei figli partiti, con una speranza e senza diritti, in barconi come quello naufragato a due passi da Lampedusa.
Ps. Le quattro donne tunisine sono arrivate in Italia con un visto valido per 4 giorni pagato da loro. Hanno pagato i loro biglietti aerei con l’aiuto della comunità palermitana tunisina e sono ospiti del Comune di Palermo e della consulta comunale dei migranti.
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Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "La sinistra radicale vuole cancellare la nostra storia, minare la nostra identità, dividerci per nazionalità, per genere, per ideologia. Ma non saremo divisi perché siamo forti solo quando siamo insieme. E se l'Occidente non può esistere senza l'America, o meglio le Americhe, pensando ai tanti patrioti che lottano per la libertà in America Centrale e Meridionale, allora non può esistere nemmeno senza l'Europa". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Il Cpac ha capito prima di molti altri che la battaglia politica e culturale per i valori conservatori non è solo una battaglia americana, è una battaglia occidentale. Perché, amici miei, credo ancora nell'Occidente non solo come spazio geografico, ma come civiltà. Una civiltà nata dalla fusione di filosofia greca, diritto romano e valori cristiani. Una civiltà costruita e difesa nei secoli attraverso il genio, l'energia e i sacrifici di molti". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni alla conferenza dei conservatori a Washington.
"La mia domanda per voi è: questa civiltà può ancora difendere i principi e i valori che la definiscono? Può ancora essere orgogliosa di sé stessa e consapevole del suo ruolo? Penso di sì. Quindi dobbiamo dirlo forte e chiaro a coloro che attaccano l'Occidente dall'esterno e a coloro che lo sabotano dall'interno con il virus della cultura della cancellazione e dell'ideologia woke. Dobbiamo dire loro che non ci vergogneremo mai di chi siamo", ha scandito.
"Affermiamo la nostra identità. Affermiamo la nostra identità e lavoriamo per rafforzarla. Perché senza un'identità radicata, non possiamo essere di nuovo grandi", ha concluso la Meloni.
(Adnkronos) - "Il nostro governo - ha detto Meloni - sta lavorando instancabilmente per ripristinare il legittimo posto dell'Italia sulla scena internazionale. Stiamo riformando, modernizzando e rivendicando il nostro ruolo di leader globale".
"Puntiamo a costruire un'Italia che stupisca ancora una volta il mondo. Lasciate che ve lo dica, lo stiamo dimostrando. La macchina della propaganda mainstream prevedeva che un governo conservatore avrebbe isolato l'Italia, cancellandola dalla mappa del mondo, allontanando gli investitori e sopprimendo le libertà fondamentali. Si sbagliavano", ha rivendicato ancora la premier.
"La loro narrazione era falsa. La realtà è che l'Italia sta prosperando. L'occupazione è a livelli record, la nostra economia sta crescendo, la nostra politica fiscale è tornata in carreggiata e il flusso di immigrazione illegale è diminuito del 60% nell'ultimo anno. E, cosa più importante, stiamo espandendo la libertà in ogni aspetto della vita degli italiani", ha concluso.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - L'Italia è "una nazione con un legame profondo e indistruttibile con gli Stati Uniti. E questo legame è forgiato dalla storia e dai principi condivisi. Ed è incarnato dagli innumerevoli americani di discendenza italiana che per generazioni hanno contribuito alla prosperità dell'America". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac a Washington. "Quindi, a loro, permettimi di dire grazie. Grazie per essere stati ambasciatori eccezionali della passione, della creatività e del genio italiani".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".
(Adnkronos) - "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno. So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta".
"Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente".