I dati diffusi dall'Istat si riferiscono al 2018: in tutto sono 816mila gli italiani trasferiti all’estero negli ultimi 10 anni. In valore assoluto è la Lombardia la regione da cui si emigra di più, mentre in termini relativi il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Friuli-Venezia Giulia. Scendono gli arrivi dal continente africano rispetto al 2017
Per la prima volta cala il numero di immigrati che dall’Africa arrivano in Italia, mentre i connazionali che decidono di trasferirsi all’estero sono aumentati dell’1,2% rispetto al 2017. Sono i dati del report sull’immigrazione dell’Istat, che conferma il trend certificato da anni dei ‘cervelli in fuga’. Nel 2018 infatti le cancellazioni anagrafiche per l’estero sono state 157 mila: di queste, quasi tre su quattro riguardano emigrati italiani (117 mila, +1,9%). Guardando invece alle iscrizioni anagrafiche dall’estero sono state circa 332mila, per la prima volta in calo rispetto all’anno precedente (-3,2%) e nel 2018 il calo degli immigrati in Italia provenienti dall’Africa è pari al -17%. In tutto sono 816mila gli italiani trasferiti all’estero negli ultimi 10 anni.
Il titolo di studio di chi se ne va – Il flusso degli italiani che decidono di trasferirsi all’estero determina anche una perdita per il Paese di figure qualificate: nel 2018 il 53% di chi se n’è andato è in possesso di un titolo di studio medio-alto. Si tratta di circa 33mila diplomati e 29mila laureati. Rispetto all’anno precedente diplomati e laureati emigrati sono in aumento (rispettivamente +1% e +6%) e l’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con titolo di studio medio-alto sono aumentati del 45%. Quasi tre cittadini italiani su quattro (73%) che si sono trasferiti all’estero ha 25 anni o più: sono poco più di 84 mila (72% del totale degli espatriati); di essi 27 mila (32%) sono in possesso di almeno la laurea. In questa fascia d’età si riscontra una lieve differenza di genere: nel 2018 le italiane emigrate sono circa il 42% e di esse oltre il 35% è in possesso di almeno la laurea, mentre, tra gli italiani che espatriano (58%), la quota di laureati è pari al 30%. Rispetto al 2009, l’aumento degli espatri di laureati è più evidente tra le donne (+10 punti percentuali) che tra gli uomini (+7%). Tale incremento risente in parte dell’aumento contestuale dell’incidenza di donne laureate nella popolazione (dal 5,3% del 2008 al 7,5% del 2018).
Le regioni italiane da cui si emigra di più – In valore assoluto è la Lombardia, con un numero di cancellazioni anagrafiche per l’estero pari a 22 mila, seguono Veneto e Sicilia (entrambe oltre 11 mila), Lazio (10 mila) e Piemonte (9 mila). In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle regioni, il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Friuli-Venezia Giulia (4 italiani su 1.000 residenti), Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta (3 italiani su 1.000), grazie anche alla posizione geografica di confine che facilita i trasferimenti con i paesi limitrofi. Tassi più contenuti si rilevano nelle Marche (2,5 per 1.000), in Veneto, Sicilia, Abruzzo e Molise (2,4 per 1.000). Le regioni con il tasso di emigratorietà con l’estero più basso sono Basilicata, Campania e Puglia, con valori pari a circa 1,3 per 1.000. Nel decennio 1999-2008 gli italiani che hanno trasferito la residenza all’estero sono stati complessivamente 428 mila a fronte di 380 mila rimpatri, con un saldo negativo di 48mila unità. Dal 2009 al 2018 si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni per l’estero e una riduzione dei rientri (complessivamente 816 mila espatri e 333 mila rimpatri); di conseguenza, i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani, soprattutto a partire dal 2015, sono stati in media negativi per 70 mila unità l’anno.
In dieci anni espatriati circa 182 mila laureati – Nel 2018, gli italiani espatriati sono prevalentemente uomini (56%). Fino ai 25 anni, il contingente di emigrati ed emigrate è ugualmente numeroso (entrambi 18 mila) e presenta una distribuzione per età perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi. L’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%. Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2018 più della metà dei cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero (53%) è in possesso di un titolo di studio medio-alto: si tratta di circa 33 mila diplomati e 29 mila laureati. Rispetto all’anno precedente le numerosità dei diplomati e laureati emigrati sono in aumento (rispettivamente +1% e +6%). L’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con titolo di studio medio-alto crescono del 45%.
Nel corso del decennio 2009-2018, i flussi diretti verso i principali paesi europei sono aumentati considerevolmente. Nel caso del Regno Unito sono più che quadruplicati, passando da poco più di 5 mila espatri nel 2009 a 21 mila nel 2018, con un picco (25 mila espatri) in corrispondenza del 2016, anno in cui sono state votate le risoluzioni per i negoziati di uscita del Paese dall’Unione europea (Brexit). In questa occasione molti dei cittadini italiani, verosimilmente già presenti nel territorio britannico ma non registrati come abitualmente dimoranti, hanno ufficializzato la loro posizione trasferendo la residenza nel Regno Unito. Complessivamente dal 2009 al 2018 gli espatri verso il Regno Unito sono stati circa 133 mila. Anche la Germania è una meta privilegiata dagli italiani che emigrano; verso questo Paese gli espatri risultano triplicati rispetto all’inizio del decennio (da 6 mila nel 2009 a 18 mila nel 2018). I flussi diretti in Svizzera, Francia e Spagna, invece, sono raddoppiati rispetto ai valori registrati nel 2009. Durante il decennio 2009-2018 il volume degli espatri di cittadini italiani in questi paesi ammonta complessivamente a 341 mila emigrazioni.
La Lombardia meta di un immigrato su cinque – La destinazione dei migranti nel Paese di accoglienza è subordinata a diversi fattori e strettamente connessa al motivo dell’ingresso nel nostro Paese; l’offerta di lavoro, la qualità della vita, le componenti legate alla presenza di reti di comunità o familiari che favoriscono i ricongiungimenti sono tra i fattori più importanti quando si tratta di flussi di immigrazione connessi a un progetto migratorio. Anche la posizione geografica della regione o della provincia di insediamento può condizionare la scelta. Ad esempio, una regione di confine può essere più facilmente meta di trasferimenti da Stati limitrofi, così come le province in cui sono presenti centri di accoglienza per i richiedenti asilo e protezione umanitaria sono state interessate dai flussi migratori dell’emergenza più di altre. Nel 2018 la principale regione di destinazione delle iscrizioni dall’estero è, in termini assoluti, la Lombardia che, da sola, accoglie il 20% dei flussi. Seguono, a grande distanza, Veneto e Lazio (entrambe 10%), Emilia-Romagna (9%), Toscana e Piemonte (entrambe 7%). Alcune regioni del Mezzogiorno risultano attrattive, almeno per quanto riguarda la prima residenza sul territorio: Campania, Sicilia, Puglia e Calabria ricevono complessivamente il 20% dei flussi.
In calo le iscrizioni anagrafiche – L’altra faccia della medaglia è costituita dai rimpatri: nel 2018, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (13 mila), la perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di popolazione “qualificata” è di 14 mila unità. Tale perdita riferita agli ultimi dieci anni ammonta complessivamente a poco meno di 101 mila unità. La ripresa delle emigrazioni di cittadini italiani è da attribuire in parte alle difficoltà del nostro mercato del lavoro, soprattutto per i giovani e le donne e, presumibilmente, anche al mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese – proprio delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione– che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di stipendio. I programmi specifici di defiscalizzazione, messi in atto dai governi per favorire il rientro in patria delle figure professionali più qualificate, non si rivelano quindi sufficienti a trattenere le giovani risorse che costituiscono parte del capitale umano indispensabile alla crescita del Paese. Le iscrizioni anagrafiche dall’estero registrate nel corso del 2018 ammontano a 332.324, in calo del 3,2% rispetto all’anno precedente; di queste, 286 mila riguardano cittadini stranieri (86% del totale). A livello nazionale il tasso di immigratorietà è pari a 4,7 immigrati stranieri ogni 1.000 abitanti.
Gli immigrati sono prevalentemente uomini – A livello provinciale, i tassi di immigratorietà più elevati si rilevano nelle province di Gorizia (10 per 1.000), Imperia, Prato, Crotone, Mantova e Isernia (tutte con un tasso pari al 9 per 1.000); quasi tutte le città metropolitane del Centro-nord (a eccezione di Torino, con un tasso pari al 4,6 per 1.000) hanno un tasso di immigratorietà superiore alla media Italia (5,5 per 1.000). Tra i più alti, quelli di Venezia e Milano (entrambe 7,1 per 1.000). Viceversa, le città metropolitane del Centro-sud riportano tassi inferiori alla media nazionale, a eccezione di Reggio Calabria (5,9 per 1.000). Tra i tassi più bassi quelli di Napoli e Palermo con, rispettivamente, 2,8 e 2,6 immigrati dall’estero per 1.000 residenti. Nel 2018 la popolazione migrante iscritta in anagrafe evidenzia, nel complesso, un lieve squilibrio di genere a favore degli uomini (56%). Questo rapporto di composizione varia a seconda delle cittadinanze dei migranti. In generale, gli immigrati con passaporto europeo sono in prevalenza donne (53%) grazie al contributo delle migranti ucraine, rumene e albanesi che hanno un’incidenza rispettivamente pari al 70%, al 59% e al 52%.
Tra i flussi provenienti dall’area asiatica, i più cospicui sono quelli da Bangladesh e Pakistan (entrambi 13 mila, ma in calo rispettivamente di 8% e 12%), le immigrazioni dall’India invece ammontano a oltre 11 mila e aumentano del 42% rispetto al 2017. In aumento anche le iscrizioni dall’America: dal Brasile si contano circa 24 mila iscritti (+18%), dal Venezuela circa 6 mila (+43%) e dagli Stati Uniti oltre 4 mila (+16%). Le immigrazioni di cittadini italiani ammontano a 47 mila nel 2018 (14% del totale iscritti dall’estero). Si tratta di flussi provenienti in larga parte da paesi che sono stati in passato mete di emigrazione italiana. Ai primi posti della graduatoria per provenienza si trovano, infatti, Brasile e Germania (che insieme originano complessivamente un quarto dei flussi di immigrazione italiana), Regno Unito (10% sul totale immigrati italiani), Svizzera (9%) e Venezuela (7%). Per alcuni di essi è plausibile l’ipotesi del rientro in patria dopo un periodo di permanenza all’estero.
Da dove vengono i migranti africani? – Sono in maggioranza uomini (70%): considerando i singoli paesi, lo sono in maniera quasi esclusiva i gambiani e maliani (98%), in larga maggioranza i senegalesi e nigeriani (rispettivamente 82% e 67%). Fa eccezione, per il continente africano, il flusso di migranti marocchini che, nel 55% dei casi, è composto da donne. Anche le immigrazioni dei cittadini asiatici sono prevalentemente composte da uomini (oltre il 75% delle iscrizioni dall’estero di bengalesi e pakistani). Nel 2018 oltre la metà delle iscrizioni dall’estero si concentra nella fascia di età 18-40 anni (60%), l’età media delle donne immigrate è di 32,3 anni contro 28,7 degli uomini. Sotto i 40 anni gli uomini sono più numerosi delle donne (rispettivamente, 45% e 31% sul totale degli iscritti dall’estero) mentre nelle classi di età più mature (40 anni e oltre) accade il contrario (10% uomini contro 13% donne). In termini relativi, i tassi di immigratorietà più elevati si registrano in Molise, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia (7 immigrati ogni 1.000 residenti). I tassi più bassi, invece, si hanno in Puglia e Sardegna (3 per 1.000). Il confronto dei tassi di immigratorietà regionali a dieci anni di distanza denota una dinamica in netto calo per quasi tutte le regioni del Centro-nord a eccezione della provincia autonoma di Bolzano, per la quale si registra una situazione stabile. Per molte regioni del Centro-sud, invece, la dinamica è inversa: la presenza sul territorio dei centri per la prima accoglienza ha favorito l’aumento delle iscrizioni anagrafiche dall’estero.
Gli italiani di origine straniera che se ne vanno – Tra gli italiani che espatriano si contano anche i flussi dei cittadini di origine straniera: si tratta di cittadini nati all’estero che emigrano in un paese terzo o fanno rientro nel luogo di origine, dopo aver trascorso un periodo in Italia e aver acquisito la cittadinanza italiana. Le emigrazioni di questi “nuovi” italiani, nel 2018, ammontano a circa 35 mila (30% degli espatri, +6% rispetto al 2017). Di questi, uno su tre è nato in Brasile (circa 12 mila), il 10% in Marocco, il 6% in Germania, il 4% nella ex Jugoslavia e in Bangladesh, il 3,5% in India e in Argentina. I paesi dell’Unione europea si confermano le mete principali anche degli espatri dei “nuovi” italiani (55% dei flussi degli italiani nati all’estero). In particolare, con riferimento al collettivo dei connazionali diretti nei paesi dell’Ue, si osserva che il 17% è nato in Marocco, il 16% in Brasile, il 7% nel Bangladesh. Ancora più in dettaglio, i cittadini italiani di origine africana emigrano perlopiù in Francia (62%), quelli nati in Asia nella stragrande maggioranza si dirigono verso il Regno Unito (90%) così come fanno, ma in misura molto più contenuta, i cittadini italiani nativi dell’America Latina (26%). I cittadini nati in un paese dell’Ue invece emigrano soprattutto in Germania (42%). Seguono le iscrizioni da Ucraina (8 mila, -2%), Germania (oltre 7 mila, +9%) e Regno Unito (poco meno di 7 mila, +12%). Per gli ultimi due flussi si tratta prevalentemente di cittadini italiani che fanno rientro in patria dopo un soggiorno all’estero. Sempre consistenti, ma nettamente in diminuzione, le immigrazioni provenienti dal continente africano, in particolare quelle provenienti da Nigeria (18 mila, -24%), Senegal (9 mila, -20 %), Gambia (6 mila, -30%), Costa d’Avorio (5 mila, -27%) e Ghana (5 mila, -25%) che durante il 2017 avevano fatto registrare aumenti record. Il Marocco è l’unico paese africano che segna una variazione positiva rispetto all’anno precedente (17 mila, +9%).
Chi dall’estero viene in Italia? – L’andamento dei flussi migratori in ingresso nell’ultimo decennio per macro-aree di provenienza evidenzia un calo generale delle immigrazioni per tutti i paesi esteri: dopo l’incremento dovuto alle regolarizzazioni e all’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione europea osservato nei primi anni Duemila, i trasferimenti dall’estero hanno avuto un lento declino. Dal 2015 al 2017 le immigrazioni sono tornate ad aumentare per via dei flussi numerosi provenienti dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, caratterizzati prevalentemente da cittadini in cerca di accoglienza per asilo e protezione umanitaria . Nel 2018, questi ingressi hanno subito una battuta d’arresto. Nel 2018 le iscrizioni anagrafiche dall’estero più numerose provengono, in valore assoluto, da paesi europei: la Romania con 37 mila ingressi (11% del totale) si conferma il principale paese di origine seppur in deciso calo (-10% rispetto al 2017). Meno numerosi i flussi provenienti dall’Albania (oltre 18 mila) ma in forte aumento rispetto all’anno precedente (+16%). La mobilità residenziale coinvolge soprattutto gli italiani: su cinque persone che cambiano residenza quattro hanno cittadinanza italiana. Nel 2018, i cittadini italiani che si sono trasferiti all’interno del territorio sono circa 1 milione 114 mila contro 244 mila stranieri, questi ultimi in aumento rispetto al 2017 (+5%). Tuttavia, la propensione alla mobilità interna degli stranieri (data dal rapporto tra il numero di trasferimenti interni di cittadini stranieri e la popolazione residente straniera) è più del doppio di quella degli italiani: il tasso di mobilità interna è al 4,7% per gli stranieri, al 2% per gli italiani.
I movimenti interregionali fanno recuperare le perdite – Se si considerano anche gli scambi con l’estero, i saldi migratori restituiscono perdite nette (differenze tra rimpatri ed espatri) in tutte le regioni. Sommando ai saldi migratori con l’estero i saldi ottenuti dai movimenti da una regione all’altra, si osserva che alcune regioni del Centro-nord riescono a recuperare la perdita con l’estero grazie alle differenze positive dovute ai movimenti interregionali. È il caso della Lombardia che perde più di 2 mila giovani laureati (italiani di 25 anni e più) per emigrazione verso l’estero, ma ne guadagna oltre 8 mila dai trasferimenti provenienti dalle altre regioni, facendo registrare così un guadagno complessivo di popolazione qualificata pari a circa 6mila risorse laureate. Anche per l’Emilia-Romagna e la Liguria la perdita causata dalle emigrazioni è compensata dai movimenti interregionali. Per tutte le regioni meridionali e per il Piemonte, invece, alle perdite dovute agli espatri si sommano anche quelle relative ai trasferimenti verso le altre regioni: le giovani risorse qualificate provenienti dal Mezzogiorno, dunque, costituiscono una fonte di capitale umano sia per le zone maggiormente produttive del Centro e Nord Italia sia per i paesi esteri.
Le regioni meno dinamiche sono Basilicata, Puglia e Calabria, con tassi pari a circa 12 iscrizioni e 18 cancellazioni per mille residenti. I saldi migratori interni evidenziano la perdita o il guadagno di popolazione dovuti ai trasferimenti di residenza da una regione all’altra. In termini relativi, il saldo migratorio netto più elevato per mille residenti si ha nelle province autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente +3,6 e +3,5 per 1.000), seguono Emilia-Romagna (+3,4 per 1.000), Friuli-Venezia Giulia (+2,7 per 1.000) e Lombardia (+2,3 per 1.000). I tassi migratori netti più bassi si registrano in Calabria (-4,6 per 1.000), Basilicata (-4,3 per 1.000) e Molise (-3,7 per 1.000). In generale, tutte le regioni del Centro-nord mostrano saldi netti positivi o prossimi allo zero; viceversa, le regioni del Mezzogiorno mettono in evidenza perdite nette di popolazione. A livello sub-regionale, le province più attrattive, quelle che cioè hanno un saldo migratorio netto positivo più alto, sono Bologna (+5,5 per 1.000), Trieste, Pordenone e Modena (tutte con un tasso pari a +4 per 1.000). Le province che perdono più residenti, facendo registrare saldi migratori netti più bassi, sono Caltanissetta (-8 per 1.000), Crotone, Reggio Calabria ed Enna (tutte con tassi pari a -6 per 1.000).
Le regioni del Mezzogiorno perdono risorse qualificate – Nel 2018 il numero di trasferimenti interregionali è pari a 332.188 (25% del totale dei trasferimenti), in lieve aumento rispetto all’anno precedente (322 mila). Gli spostamenti interregionali di maggiore interesse riguardano la direttrice che parte dal Mezzogiorno e si dirige al Centro-nord. Sono oltre 117 mila i movimenti da Sud e Isole che hanno come destinazione le regioni del Centro e del Nord (+7% rispetto al 2017); di un certo rilievo sono anche i trasferimenti sulla rotta ‘inversa’ (55 mila), dal Centro-nord al Mezzogiorno: la perdita netta di popolazione calcolata per la ripartizione meridionale è quindi di circa 62 mila residenti nel 2018, di cui 47 mila di 25 anni e più. Con riferimento al titolo di studio, i movimenti degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea che partono dalle regioni del Mezzogiorno e si dirigono verso quelle del Centro-nord (al netto dei rientri) hanno provocato, nel 2018, una perdita di oltre 16 mila residenti. Le regioni con le perdite più consistenti di questo ”prezioso” contingente sono la Sicilia e la Campania (complessivamente oltre 8,5 mila residenti qualificati in meno), seguite da Puglia (-3 mila) e Calabria (-2 mila). Perdite più contenute si registrano per Basilicata, Abruzzo e Molise che, complessivamente, perdono 1,5 mila residenti. Le regioni che guadagnano di più da questo scambio sono la Lombardia (+8 mila) e l’Emilia-Romagna (+4 mila).
Giovani più propensi a trasferirsi nelle province dei grandi centri urbani – I profili per genere ed età dei migranti che cambiano residenza dentro ai confini nazionali sono simili. La percentuale di uomini sul totale dei migranti è pari al 50,5% e anche l’età media alla data del trasferimento è molto vicina, leggermente posticipata per le donne (35 uomini e 36,5 donne). L’età è uno dei fattori che più influenza il comportamento migratorio: i trasferimenti di residenza in età lavorativa sono, in generale, più numerosi rispetto a quelli registrati per le altre fasce di età. Nel 2018, quasi la metà di chi si è spostato da un comune all’altro all’interno del Paese ha un’età compresa tra i 15 e i 40 anni. Una quota significativa di trasferimenti (27%) si osserva anche nella fascia di età tra i 41 e i 64 anni. La percentuale dei più giovani (0-14 anni) è poco più del 15% e si deve agli spostamenti dei nuclei familiari; gli ultrasessantacinquenni, invece, si spostano solo nell’8% dei casi. I giovani adulti, spesso con figli piccoli, costituiscono dunque la quota maggiore tra chi si sposta. I trasferimenti in queste fasce di età possono essere motivati dal proseguimento degli studi, da esigenze di lavoro o familiari.
In lieve aumento il numero dei trasferimenti di residenza interni – Anche l’età media della popolazione migrante, così come il genere, cambia in base alla cittadinanza. I più giovani sono gli immigrati africani (età media 25,4 anni), seguiti dagli asiatici (27 anni). L’età media più elevata, invece, si osserva nei flussi in ingresso dei cittadini europei e degli immigrati americani e dell’Oceania (rispettivamente 33,2 e 33,5 anni). Le migrazioni interne comprendono i movimenti di persone che si spostano tra comuni appartenenti a regioni diverse (interregionale) e tra comuni all’interno della stessa regione (intraregionale). Nell’ultimo decennio l’andamento della mobilità interna è stabile sia nella componente interregionale sia in quella intraregionale. I tassi di migratorietà dal 2009 al 2018 sono pressoché costanti: sono mediamente più di cinque ogni mille residenti coloro che si spostano tra regioni diverse e circa 17 su mille quelli che lo fanno all’interno della stessa regione di residenza.
Gli stranieri si spostano più degli italiani all’interno dei confini nazionali – Il fattore età incide sulle dinamiche migratorie. I saldi migratori calcolati nelle fasce di età dai 18 ai 24 anni e dai 65 anni e oltre evidenziano la maggiore attrattività delle regioni del Centro-nord per i giovani migranti, mentre le regioni del Mezzogiorno presentano per i meno giovani saldi migratori molto contenuti e in alcuni casi positivi, come in Abruzzo e in Sardegna. A un maggior dettaglio territoriale, molte province con saldi netti positivi nella fascia di età tra i 18 e i 24 anni mostrano un saldo netto negativo per gli adulti da 65 anni e oltre: è il caso di Milano, Roma, Firenze e Venezia. Viceversa, province come Asti, Vercelli, Oristano, Viterbo, Isernia e l’Aquila, caratterizzate da saldi negativi per i giovani, diventano attrattive per i più anziani. In generale, gli spostamenti sulla tradizionale direttrice Mezzogiorno/Centro-nord sono tipici dei giovani mentre risultano più sfumati per gli over 65, i quali sono più propensi a spostarsi verso aree di provincia piuttosto che verso grandi centri urbani.