La Cassazione ha confermato il sequestro a carico di Gianluca Savoini – chiavette e cellulari, oltre al file audio della riunione all’hotel Metropol di Mosca – emessi dalla procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega. Si parla dell’ormai famoso audio registrato al Metropol il 18 ottobre 2018 contro il sequestro del quale Savoini aveva presentato ricorso, rigettato dalla Suprema corte. Un summit tra sei uomini: tre russi e tre italiani. Uno è Savoini, all’epoca responsabile della Lega per i rapporti con Mosca nonché presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia, mentre gli altri due italiani sono l’avvocato Gianluca Meranda e il consulente finanziario Francesco Vannucci. Un’ora e un quarto di dialogo, con tre cittadini russi vicini all’entourage politico del presidente Vladimir Putin, in cui si discutono i termini di un accordo che dovuto portare 65 milioni di dollari alla Lega. Un maxi finanziamento ottenuto grazie a sconto praticato dai russi alla mega fornitura di greggio. Denaro che il Carroccio avrebbe dovuto utilizzare per la campagna elettorale delle elezioni europee. Sia Salvini che Savoini, però, hanno sempre smentito l’affare. Mentre la procura di Milano indaga per corruzione internazionale.

Il Tribunale del riesame di Milano, lo scorso 3 ottobre, aveva stabilito che il file poteva essere utilizzato perché non è di provenienza anonima e ha una fonte, che il giornalista dell’Espresso che ha consegnato la registrazione alla Procura ha esercitato il diritto di non rivelare. Una delle prove dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega è quindi legittima. Così come, sottolineano i magistrati nelle motivazioni, dalla registrazione appare “nitido che parte dei soldi fosse destinata alla Lega“. Una conferma di quanto anticipato da Davide Milosa su Il Fatto Quotidiano: inoltre esiste un documento, a disposizione della Procura di Milano, in cui è abbozzato il progetto per l’acquisto del gasolio russo: “Lo schema delle parti coinvolte nella trattativa considerata illecita, la possibilità di reiterare l’accordo nel tempo, l’importo da retrocedere dopo il pagamento della fornitura petrolifera, la necessità di agire rapidamente per l’avvicinarsi delle elezioni europee, l’utilità dell’accordo per entrambe le parti, la ripartizione dei compiti, la necessità di essere prudenti per non destare sospetti sul presunto ritorno illecito del denaro”.

Scriveva il Riesame, “prevedendo che una percentuale del prezzo pagato – nella misura indicata del 4% – sarebbe stata retrocessa per finanziare la campagna elettorale del partito politico Lega“. Circostanza che emerge “in maniera ancora più nitida dalle parti della conversazione intrattenuta in inglese“. In particolare, nelle motivazioni, si rimarca la circostanza che dalla trascrizione si evince come il “denaro ‘retrocesso’ fosse necessario per finanziare la campagna elettorale del partito politico Lega”.

I sei avevano discusso la compravendita sulla base di un foglio in cui si legge il 4% che nei piani doveva finire alla Lega e un valore che oscilla tra il 4 e il 6% da destinare ai pubblici ufficiali russi e ai loro intermediari d’affari. Dell’esistenza di questo documento si ha una prima conferma riascoltando proprio l’audio registrato al Metropol. Vende una società russa (Gazprom o Rosneft), acquista il colosso italiano Eni, dopo un passaggio intermedio con una banca d’affari londinese. È qui a Londra, secondo i documenti acquisiti dalla Procura, che viene preparata una proposta di acquisto da inviare a Rosneft, messa a punto dopo l’incontro del Metropol. Sono due passaggi dell’audio che, secondo i magistrati, annunciano l’esistenza del documento. A parlare è sempre Meranda. Nel primo dice: “Solo per averlo chiaro, aspetterò che tu confermi il prodotto, le quantità e qualunque cosa tu sia in grado di fare”. Poi aggiunge: “Farò solo uno screenshot qui e te lo invierò solo per essere sulla stessa pagina. Ok signori, penso che stia andando nella giusta direzione”.
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