La legge Citizenship Amendment Bill consente ai migranti irregolari, entrati nel Paese prima del 2015 e di religione indù, cristiana, parsi, buddista, giainista o sikh, di ottenere la cittadinanza indiana. Ma non estende questo diritto verso i musulmani. In rivolta anche gli studenti di alcune università del Paese: a Delhi la polizia ha lanciato lacrimogeni e picchiato con i manganelli i giovani
La nuova legge sulla cittadinanza, approvata nei giorni scorsi in India dal premier Narendra Modi e giudicata dagli oppositori discriminatoria nei confronti dei musulmani, ha innescato scontri e proteste: 6 i morti in tutto, centinaia i feriti e arresti in cinque giorni, soprattutto nello Stato di Assam. Oggi i manifestanti si sono riuniti a Calcutta per un nuovo raduno guidato dal capo del governo del Bengala occidentale, Mamata Banerjee, noto critico di Modi. Altre proteste sono state organizzate nello stato meridionale del Kerala e nella capitale indiana Nuova Delhi. La legge consente ai migranti irregolari, entrati nel Paese prima del 2015 e di religione indù, cristiana, parsi, buddista, giainista o sikh, di ottenere la cittadinanza indiana. Nel dettaglio: il Citizenship Amendment Bill riduce da undici a cinque anni l’obbligo di residenza in India per richiedere e ottenere la cittadinanza e vieta l’arresto e il processo per i migranti entrati irregolarmente nel Paese. A meno che, però, non si tratti di migranti musulmani.
Ancora prima dell’approvazione in Parlamento il provvedimento era stato giudicato dall’opposizione discriminatorio verso i musulmani e pensato per favorire l’immigrazione clandestina. Tanti gli scontri innescati dall’approvazione, soprattutto nel campus Jamia Millia Islamia, una delle università più prestigiose di Delhi, dove nel weekend gli studenti hanno fatto resistenza alle forze di polizia. Gli agenti hanno lanciato lacrimogeni, picchiato con i manganelli studenti e studentesse, insultato le ragazze barricate nei bagni, dove era stata fatta saltare la luce, e devastato una biblioteca e una sala adibita a moschea. Gli scontri hanno portato a una centinaia di feriti ricoverati negli ospedali, qualcuno anche ferito da pallottole, mentre una cinquantina di arrestati non hanno potuto incontrare per ore i legali e gli attivisti dei diritti civili. A questa prima rivolta ne sono seguite tante altre: decine di migliaia di altri studenti sono scesi in strada dall’IIS di Bengaluru, ai due principali istituti di Mumbai, il Tiss e la Bombay University, ai college di Chennai, Madurai, Pondicherry, in Tamil Nadu, a Hyderabad, all’Università della Jamia, in Uttar Pradesh.
Il premier Modi, che con questo provvedimento conferma il suo orientamento per un programma nazionalista che favorisca la maggioranza indù, ha cercato di riportare la calma precisando con un tweet che nessun indiano sarà toccato dalla nuova legge “che riguarda solo i rifugiati perseguitati per motivi religiosi”. Ma i giovani contestano soprattutto la discriminazione religiosa. Con loro anche Sonia Gandhi, presidente del partito del Congresso Indiano, che sotto l’arco di trionfo di Delhi, circondata da migliaia di persone che hanno letto con lei il preambolo della Costituzione, ha denunciato: “Da giorni gli studenti protestano anche contro l’aumento delle rette e l’attacco alla Costituzione, ma il premier e il ministro degli interni Shah li attaccano come terroristi, secessionisti, rinnegati. Il loro è un attacco alla nostra anima. Il governo di Modi ha dichiarato guerra alla nostra gente”.