di Stefano Manganini

Credo sia ingiusto attaccare i leader e i sostenitori del neonato movimento per la loro inesperienza e superficialità analitica perché la partecipazione politica è un diritto e cosa onorevole indipendentemente dal livello su cui questa sia esprima. Tuttavia, l’indiscutibilmente nobile messaggio sulla necessità di una narrativa politica più seria sembra scontrarsi con la mancanza di un programma articolato e originale.

Il bravo Mattia Santori si è spesso mostrato in difficoltà di fronte a giornalisti navigati che hanno costruito intere carriere rendendo per protriviali ideali astratti. Non sembra riuscire a far comprendere all’intellighenzia di vecchia data, abituata ad una politica fatta di utilitarismo e ambizioni personali, che esiste un paese che ancora non si è assuefatto alla menzogna come ideale al rutto linguistico come sua espressione. L’idea che la forma debba andare di pari passo con i contenuti sembra passata di moda in un contesto di associazioni “aprioristiche” ad ideali spesso confusi, supportati solo dall’implicito abbandono della realtà fattuale come metro di misura degli eventi. In altre parole le Sardine domandano che la politica torni (lo è ma ai stata?) ad essere espressione tanto dell’etica quanto dell’estetica. Come dar loro torto?

Ma allora perché non mi troverete in piazza con loro? Dirò solo che la forza prorompente della folla che a Piazza San Giovanni a Roma ha espresso a gran voce le proprie volontà mi ha scaldato il cuore, ma mi è bastato farmi un giro nei vari gruppi Facebook che gestiscono i loro eventi e sentire i sei punti programmatici del movimento per capire che le folle sono animali confusi.

Bazzicando su internet si nota subito come quello che nasce come un movimento apartitico per la promozione di un nobile ideale non tardi a trasformarsi in un coro di ideali eterogenei in cui la discussione (e la comprensione) di punti di vista diversi diviene tabù. Le pagine delle Sardine sono un tripudio di anti-salvinismo (cosa buona e giusta a mio avviso) che tende a sfumarsi fino a divenire una massa informe di pensieri sul modello di quelle che Diego Fusaro chiama le “sinistre arcobaleno”. Nulla in contrario, ma se all’interno di un movimento che si propone apartitico ed apolitico si instaura una dittatura del pensiero in cui ogni differenza di opinione è reato allora trattasi semplicemente di una implicita “dittatura arcobaleno” che si oppone ad una dittatura salvinista.

Spiega molto bene il professor Emilio Gentile nel suo Le Religioni della Politica come la religione “politica” si sia in passato espressa o come un ideale comune ad un gruppo di individui che viene elevato a livello di fede con funzione unificatrice, oppure alternativamente come ideale proposto da un leader per unificare i suoi seguaci. Ebbene, nel caso delle Sardine noto una profonda dissonanza tra l’ideale “neutro” proposto dai carismatici leader e gli ideali carichi di connotazioni politiche dei seguaci di questo movimento.

Una dicotomia pericolosa che, a mio parere, si è già espressa nella necessità di stipulare un programma di sei punti per mantenere unità nel movimento sull’obiettivo ultimo, facendo leva sull’unico collante che tiene insieme questo insieme raffazzonato di ideali: l’anti-salvinismo. Infatti, i primi cinque insaporo punti programmatici trovano una raison d’être solo quando viene declamato l’ultimo di essi: il ripensamento del decreto sicurezza, personificazione stessa della politica salvinista.

In altre parole, pur avendo un grandissimo rispetto per il movimento delle Sardine non scenderò in piazza con loro perché sono fedele alla regola che se due persone sono sempre d’accordo tra loro. E a me sembra che questa ondata funzioni solo perché ancora le sardine non si siano messe ad ascoltarsi l’un l’altra/o: quando questo succederà tutti i nodi verranno al pettine. E saranno troppi da dirimere. Spero che avrò modo di ricredermi, ma per ora strizzo un occhio dalla distanza.

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