Per via dell'avanzata età si pensò che la vittima fosse morta per a cause naturali, ma una radiografia confermò la violenza. Don Paolo Piccoli, sacerdote veneto di 53 anni, si è sempre dichiarato innocente
Monsignor Giuseppe Rocco morì in una casa di riposo, si pensò a un evento naturale. Ma la Corte d’assise di Trieste ha condannato per omicidio a 21 anni e 6 mesi e all’interdizione perpetua dei pubblici uffici, don Paolo Piccoli, sacerdote veneto di 53 anni malato da tempo, perciò già in quiescenza. L’imputato si è sempre dichiarato innocente.
La mattina del 25 aprile 2014 monsignor Rocco venne trovato senza vita ai piedi del letto, nella sua camera alla Casa del clero, un ospizio per sacerdoti: per via dell’avanzata età – aveva 92 anni – si pensò a cause naturali. La svolta nelle indagini arrivò grazie a una radiografia al collo della vittima, che confermò una morte violenta, per strangolamento. Don Piccoli, vicino di stanza di don Rocco, inizialmente era stato ascoltato come testimone, ma in seguito fu indagato per il delitto dopo le dichiarazioni della perpetua di monsignor Rocco e per la presenza di goccioline di sangue sul letto. Secondo gli inquirenti, don Piccoli aveva agito con violenza per rubare alla vittima alcuni oggetti: una collanina (mai ritrovata) una bomboniera a forma di veliero e una Madonnina di legno. Don Piccoli si è sempre dichiarato innocente: giustificò la sua presenza nella camera della vittima con l’intenzione di dare l’estrema unzione al morto e spiegò che le macchie di sangue erano dovute a una patologia che lo affliggeva da anni, provocandogli tagli e spaccature sulla pelle.
Piccoli era imputato di omicidio volontario, aggravato dall’età avanzata della vittima. “Abbiamo appreso, con grande tristezza, la notizia della pesante condanna inflitta a don Paolo Piccoli” ha commentato la Diocesi dell’Aquila in una nota. Don Piccoli è stato parroco a Rocca di Cambio e Pizzoli, ma non vive più in Abruzzo dal 2010. “Manifestiamo profondo rispetto per il verdetto espresso, nella consapevolezza che – come sancito dal Codice civile e da quello canonico – fino alla sentenza definitiva spetta all’imputato la presunzione di innocenza”, prosegue il comunicato dell’ufficio diocesano. “Su questa dolorosa vicenda è la ragione che fa verità e che deve guidare il giudizio e attivare le scelte opportune. Per questo, siamo in attesa di acquisire ulteriori informazioni, necessarie per un ‘discernimento’ obiettivo e a tutto campo, che consenta di dare valutazioni sagge e di prendere decisioni adeguate”. La diocesi auspica inoltre che si faccia giustizia “affinché ciascuno risponda, alla legge di Dio e degli uomini, secondo le sue effettive responsabilità”.