Una decisione storica, frutto del summit mondiale sulla pedofilia tenutosi in Vaticano. La scelta di Papa Francesco di abolire il segreto pontificio per i casi di abusi sessuali del clero è senza precedenti. Ed è destinata a segnare per sempre il cammino della Chiesa cattolica, duramente provata dai continui e gravi scandali di pedofilia diffusi in numerosi continenti del pianeta, ma anche di proporzioni abissali. Scandali spesso accompagnati anche dalle omissioni dei vertici ecclesiastici che per decenni hanno insabbiato questi gravissimi reati. Ora Bergoglio toglie il segreto pontificio non solo alle denunce, ai processi e alle decisioni che riguardano coloro che hanno commesso gli abusi, ma anche a chi ha sempre coperto tutto questo, spesso spostando i colpevoli di parrocchia in parrocchia.

Non si tratta, però, di un provvedimento preso all’improvviso dopo anni di insabbiamenti. Bensì di un lungo cammino di presa di consapevolezza che la credibilità della Chiesa è fortemente minata dallo scandalo della pedofilia dei suoi membri, anche a livelli molto alti, come insegna la vicenda del cardinale George Pell, e che gli slogan non bastano. Le tappe principali del processo, infatti, iniziano con il vertice mondiale sugli abusi voluto in Vaticano, nel febbraio 2019, da Bergoglio. Un summit al quale, per volontà del Papa, hanno partecipato tutti i presidenti delle conferenze episcopali del mondo e anche alcune vittime. Molto significative sono state proprio le loro testimonianze e alcuni vescovi hanno dovuto ammettere di non averle mai incontrate e ascoltate prima, come invece aveva chiesto ripetutamente il Papa sulla scia di ciò che aveva fatto Benedetto XVI.

Dopo il vertice, Francesco ha subito emanato diverse norme per rafforzare la linea della tolleranza zero nel contrasto degli abusi e anche per evitare nuovi insabbiamenti. Linea che, dopo anni di opposizione, in Italia è stata recepita in pieno dalla Cei che ha finalmente introdotto l’obbligo morale di denuncia alle autorità civili dei preti pedofili. Ora l’ennesimo e importantissimo passo in avanti fortemente voluto dal Papa che, non a caso, ha deciso che le nuove norme fossero pubblicate nel giorno del suo 83esimo compleanno.

Ma perché finora c’era il segreto pontificio per i casi di abusi sessuali? L’ex presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Dalla Torre, ha spiegato che “le ragioni che in passato avevano indotto il legislatore ecclesiastico ad introdurre, tra le materie sottoposte al segreto pontificio, i delitti più gravi contro i costumi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, vengono a cedere rispetto a beni che oggi si percepiscono come più elevati e degni di una particolare tutela. Innanzitutto il primato della persona umana offesa nella sua dignità, ancor più in ragione della sua debolezza per età o incapacità naturale. E poi quella piena visibilità dei passaggi nelle procedure canoniche dirette a punire il fatto criminoso, che contribuisce nel contempo al perseguimento della giustizia ed alla tutela dei soggetti coinvolti, tra cui anche quanti possono essere ingiustamente colpiti da accuse che si rivelano poi infondate”.

Per il direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Andrea Tornielli, la decisione del Papa “significa che le denunce, le testimonianze e i documenti processuali relativi ai casi di abuso conservati negli archivi dei dicasteri vaticani come pure quelli che si trovano negli archivi delle diocesi, e che fino ad oggi erano sottoposti al segreto pontificio, potranno essere consegnati ai magistrati inquirenti dei rispettivi Paesi che li richiedano. Un segno di apertura, di disponibilità, di trasparenza, di collaborazione con le autorità civili. Nel caso dei dicasteri vaticani, – ha spiegato ancora Tornielli – la richiesta dovrà essere inoltrata attraverso una rogatoria internazionale, consueta nell’ambito dei rapporti tra gli Stati. Diversa è invece la procedura nei casi in cui i documenti richiesti siano conservati negli archivi delle curie diocesane: i magistrati inquirenti dei rispettivi Paesi inoltreranno infatti la richiesta direttamente al vescovo. Restano comunque salvi i regimi particolari, che possono essere previsti in accordi o concordati tra la Chiesa e lo Stato”.

Monsignor Charles Scicluna, arcivescovo di Malta e segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede, non esita a definire quella del Papa “una scelta epocale”. E ricorda che proprio nel summit sulla pedofilia “si è parlato ripetutamente del segreto pontificio quasi come di un impedimento all’informazione giusta resa alla vittima e alle comunità”. Ma cosa cambia in concreto? “Vediamo gli impedimenti – ha spiegato il presule – che c’erano fino a questo momento: la vittima non aveva l’opportunità di conoscere la sentenza che faceva seguito alla sua denuncia, perché c’era il segreto pontificio. Anche altre comunicazioni venivano ostacolate, perché il segreto pontificio è un segreto di altissimo livello nel sistema di confidenzialità nel diritto canonico. Adesso viene facilitata anche la possibilità di salvaguardare la comunità e di dire l’esito di una sentenza”.

Scicluna ha precisato, inoltre, che con l’abolizione del segreto pontificio i documenti “non sono di dominio pubblico ma, per esempio, viene facilitata la possibilità di una collaborazione più concreta con lo Stato, nel senso che la diocesi che ha una documentazione ormai non è più legata al segreto pontificio e può decidere, come deve, di collaborare bene, trasmettendo copia della documentazione anche alle autorità civili”.

Twitter: @FrancescoGrana

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