“L’intervento pubblico serve a salvare i risparmiatori italiani”, “colpiremo i manager responsabili del dissesto”, “la banca diventerà degli italiani”. Ecco alcune delle tante frasi ad effetto pronunciate dai rappresentanti del governo all’indomani della decisione di salvare dal default tecnico (non giuridico) la Banca Popolare di Bari con una immissione di liquidità da parte dello Stato di 900 milioni di euro.

Non si tratta neppure più di populismo; qui siamo di fronte alla più subdola e meschina presa per i fondelli dettata, ahinoi, non solo dal machiavellico fine politico ma anche da una profonda ignoranza della materia. Basta! Basta! Basta! Sono ormai sette anni che denuncio i mali del sistema: management logoro e incompetente (quando non colluso), bilanci falsi, politiche commerciali aggressive che violentano i risparmiatori, vigilanza compiacente, una politica che zerbina agli usci delle direzioni centrali per sostenere clientele e campagne elettorali. Basta scorrere i post scritti su questo giornale.

Non ne voglio più parlare. E sapete perché? Perché l’aspetto ancora più grave della vicenda riguarda il fatto che ogni volta che fallisce una banca si ri-sentono, ri-vedono e ri-leggono sistematicamente le solite stronzate formulate dalla ignorantocrazia finanziaria imperante nella nostra società (politica, media, opinion leaders, ecc.).

Il caso Bpb è l’ennesima dimostrazione del fatto che nel nostro Paese siamo abituati a “piangerci il morto” e poi trovare i soldi per fare il funerale. Mai una proposta o una legge seria che possa tentare di guarire l’ammalato (sistema bancario) che, sebbene in alcuni casi impossibile, avrebbe bisogno di controlli continui, diagnosi precoci e cure molto forti.

La soluzione adottata configura per il M5S non solo l’ennesima dimostrazione di come si disattende il programma di governo presentato per le ultime elezioni politiche, ma soprattutto rappresenta la conferma che la nostra classe politica, influenzata da un elettorato statalista e assistenzialista, non conosce nemmeno i rudimenti minimi del libero mercato, della concorrenza, del pensiero liberale e di una sana politica di bilancio.

Per la nostra classe politica, e per la maggioranza degli elettori, le disponibilità finanziarie di uno Stato sono praticamente illimitate. Basta! È assolutamente ingiusto che lo Stato dreni risorse pubbliche per salvare un’altra banca fallita principalmente per mala gestione, per l’inefficienza dei suoi amministratori. Salvarla – così come in passato sono state salvate altre banche – fa passare il principio di legittima truffa per cui “tanto poi interviene lo Stato”.

Il mercato non deve più essere il luogo dove si privatizzano gli utili e si socializzano le perdite. Se una società è fuori mercato, allora che fallisca. La prossima volta si eviterà di gestirla in maniera scorretta, spavalda e clientelare. Lo Stato non può fare tutto, né può continuare a essere il padre generoso che salva i suoi figli spericolati e scapestrati. È arrivato il momento di far capire che stare sul mercato è una cosa seria e richiede correttezza, professionalità e onestà. Perché poi lo Stato siamo noi che pagheremo le tasse per salvare quelle catapecchie che sono ormai diventate le banche del nostro paese.

Piuttosto, e chiudo, è il caso di dare qualche consiglio sintetico a chi ha praticamente perso tutti i suoi risparmi laddove costretto ad acquistare le azioni della banca. Perché è bene precisare che il salvataggio della banca per decreto non significa affatto che i risparmiatori truffati possano rientrare in possesso del valore delle loro azioni. Per adesso si garantisce solamente l’operatività della banca, il resto è tutto da vedere.

Quel che è certo è che nel suddetto decreto si prospetta tecnicamente l’ipotesi di una scissione della attuale società (vecchia Bpb) con costituzione di una nuova società. Pertanto gli azionisti (ma anche gli obbligazionisti subordinati) che ad oggi non hanno ancora contestato formalmente la richiesta di risarcimento del danno debbono procedere con assoluta urgenza inondando i tribunali di azioni giudiziarie prima della costituzione di tale nuova società, altrimenti sarà molto più difficile ottenere il risarcimento, come è accaduto ai risparmiatori di Etruria & co. Muo-ve-te-vi!

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