I pm ricostruiscono il processo di avvicinamento dell'intelligence de Il Cairo al ricercatore italiano ucciso tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio del 2016 e le strategie messe in campo per salvaguardare l'immagine del governo egiziano
Gli apparati di sicurezza egiziani hanno messo in atto quattro depistaggi per tutelare l’immagine del Paese e incolpare soggetti stranieri per l’uccisione di Giulio Regeni. Lo hanno raccontato il sostituto procuratore, Sergio Colaiocco, e il procuratore facente funzioni di Roma, Michele Prestipino, sentiti oggi alla prima audizione della commissione d’inchiesta sull’uccisione del ricercatore italiano, avvenuta tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2016. E a metterli in piedi, secondo le testimonianze di una delle persone coinvolte, è stato un “ufficiale della Sicurezza nazionale che faceva parte del team investigativo congiunto italo egiziano“. Uno degli uomini del Cairo, quindi, che aveva il compito di collaborare alle indagini con gli inquirenti italiani.
“Nell’immediatezza dei fatti sono stati fabbricati dei falsi per depistare le indagini – ha spiegato Colaiocco – In primis l’autopsia svolta al Cairo che fa ritenere il decesso legato a traumi compatibili con un incidente stradale“. È emerso, invece, che quella ai danni di Regeni è stata una tortura che si è svolta in più fasi: “L’autopsia eseguita in Italia ha dimostrato che le torture sono avvenute a più riprese, tra il 25 gennaio e il 31 gennaio. L’esame della salma depone per una violenta azione su varie parti del corpo. I medici legali hanno riscontrato varie fratture e ferite compatibili con colpi sferrati con calci, pugni, bastoni e mazze. Giulio è morto, presumibilmente, il 1 febbraio per la rottura dell’osso del collo”.
Successivamente, gli uomini del Cairo hanno tentato di spostare l’attenzione degli investigatori sul possibile movente sessuale: “Un altro depistaggio è stato quello di collegare la morte di Giulio a un movente sessuale – ha continuato il procuratore -, con Regeni che viene fatto ritrovare nudo“.
Ma ci sono due depistaggi ancora più rilevanti, continua Colaiocco. Il primo alla vigilia della trasferta dei pm romani, il 14 marzo 2016: “Due giorni prima un ingegnere parla alla tv egiziana raccontando di avere visto Regeni litigare con uno straniero dietro al consolato italiano e fissa alle 17 del 24 gennaio l’evento. È tuttavia emerso – ha spiegato il pm – che il racconto è falso e ciò è dimostrato dal traffico telefonico dell’ingegnere che era a chilometri di distanza dal consolato e sia dal fatto che Giulio a quell’ora stava guardando un film su internet a casa”. Successivamente, lo stesso uomo ha ammesso di avere ricevuto quelle istruzioni da un ufficiale della Sicurezza nazionale che faceva parte del team investigativo congiunto italo egiziano. Un depistaggio voluto per tutelare, come ha raccontato l’ingegnere, l’immagine dell’Egitto e incolpare stranieri per la morte di Regeni. “Su questo episodio – ha spiegato Colaiocco- non ci risulta che la Procura del Cairo abbia mai incriminato nessuno. Il quarto tentativo di depistaggio è legato invece all’uccisione di cinque appartenenti a una banda criminale morti nel corso di uno scontro a fuoco. Per gli inquirenti egiziani erano loro gli autori dell’omicidio”.
I procuratori romani hanno iniziato il proprio racconto di fronte alla commissione guidata da Erasmo Palazzotto spiegando che “intorno a Giulio Regeni è stata stretta una ragnatela dalla National Security egiziana già dall’ottobre prima dell’omicidio – ha spiegato Colaiocco – Una ragnatela in cui gli apparati si sono serviti delle persone più vicine a Giulio al Cairo, tra cui il suo coinquilino avvocato, il leader del sindacato degli ambulanti e la sua amica Noura Wahby che lo aiutava nelle traduzioni”. Dopo essere finito sotto la lente dell’intelligente egiziana, aggiunge Colaiocco, è iniziata l’operazione di avvicinamento al ricercatore italiano da parte degli agenti del Cairo: “Una ragnatela che si è stretta sempre di più e in cui Giulio è finito al centro”.
Prestipino si sofferma invece sull’eccezionalità del caso che ha coinvolto il ricercatore, spiegando che questa “risiede in primo luogo nel fatto che si tratta di un cittadino italiano sequestrato, torturato e assassinato in un territorio estero. Un’eccezionalità testimoniata dalle scelte compiute dal nostro ufficio che ha avuto sin dal principio piena consapevolezza della gravità dei fatti”. Il procuratore ha poi assicurato ai membri della Commissione che “la Procura continuerà con determinazione a compiere tutte le attività per continuare ad acquisire elementi di prova per accertare quanto accaduto”, nonostante le resistenze ormai conclamate degli omologhi egiziani.
A questo proposito, il procuratore ammette che “c’è una difficoltà nel coordinare la nostra attività giudiziaria con l’iniziativa giudiziaria dell’Egitto, anche perché tra i due Paesi non ci sono accordi di cooperazione giudiziaria. Nonostante tutte queste difficoltà, posso affermare che abbiamo raggiunto fin qui risultati estremamente positivi. Siamo riusciti grazie alla straordinaria capacità dei nostri reparti investigativi, Sco e Ros, a ricostruire il perimetro di quanto accaduto in quel lasso temporale”.
Ciò che fino a oggi gli investigatori sono riusciti a ricostruire sono stati “il contesto dell’omicidio, i giorni precedenti al sequestro, l’attività degli apparati egiziani nei confronti di Giulio culminata col sequestro, riuscendo a sgomberare il campo da ipotesi fantasiose, dall’attività spionistica alla rapina. Ipotesi messe definitivamente da parte. Abbiamo individuato soggetti indiziati che per questo sono stati iscritti nel registro degli indagati”.
Fondamentale per ottenere le informazioni fino ad oggi a disposizione degli inquirenti, aggiunge Prestipino, è stata “l’azione portata avanti dalla famiglia che ha costantemente esercitato un’attività finalizzata alla ricerca della verità”. E i genitori di Regeni ringraziano la commissione a conclusione della riunione: “In questi anni abbiamo dovuto lottare contro violenze, depistaggi, omertà, prese in giro e tradimenti. Siamo grati ai nostri procuratori e alle squadre investigative per il lavoro instancabile svolto in questi quattro anni in sinergia con noi e la nostra legale. Se oggi abbiamo i nomi di alcuni dei responsabili del sequestro, delle torture e dell’uccisione di Giulio e se alcuni di quei nomi sono iscritti nel registro degli indagati lo dobbiamo a loro”.
Palazzotto, dal canto suo, ha ribadito, come nel giorno dell’insediamento, che “non faremo sconti a nessuno e andremo fino in fondo. Oggi abbiamo iniziato i lavori della commissione e abbiamo scelto di farlo con l’audizione della Procura di Roma, riconoscendo il prezioso lavoro fatto in questi anni per darci un quadro ricostruttivo della vicenda e soprattutto per instaurare un rapporto di leale collaborazione istituzionale a cui sarà improntato tutto il nostro lavoro”. Il membro di Liberi e Uguali ha poi aggiunto che “ci sono davanti a noi 12 mesi molto difficili. Utilizzeremo tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, sia quelli tecnico-giuridici che quelli dati dal piano delle relazioni politiche e diplomatiche che un organo parlamentare può utilizzare. È nostro obiettivo contribuire in modo determinante alla ricerca della verità”.