Ad aprire la stagione di balletto sarà Sylvia, titolo su partitura di Léo Delibes e coreografia di Manuel Legris che prosegue il recupero e dà nuova linfa al repertorio ottocentesco
Una donna guerriera, cacciatrice e temeraria, ninfa di Diana invulnerabile a tutto tranne che all’amore, salirà sul palcoscenico del Teatro alla Scala il 17 dicembre. Ad aprire la stagione di balletto sarà Sylvia, titolo su partitura di Léo Delibes e coreografia di Manuel Legris che prosegue il recupero e dà nuova linfa al repertorio ottocentesco. Già étoile dell’opera di Parigi e dal 2010 direttore dello Staatsballett di Vienna, indicato da voci dell’ambiente coreutico come possibile futuro direttore della compagnia scaligera, Manuel Legris vede in Sylvia: “Amore, potere, posizione della donna. Questa è una storia di emancipazione femminile”.
Fra ninfe, fauni, satiri, pastori e pastorelli, cacciatrici e vestali, contadini, schiave e dei dell’Olimpo il balletto racconta l’amore fra Sylvia e il pastore Aminta. Ma dietro la vicenda mitologica, ispirata al dramma pastorale Aminta di Torquato Tasso, c’è il percorso di una donna forte che, trafitta dal dardo di Eros, scopre anche il suo lato fragile a completamento di se stessa. Con il titolo Sylvia ou la Nymphe de Diane il balletto va in scena per la prima volta all’Opéra di Parigi nel 1876: protagonista l’italiana Rita Sangalli. Le cronache dell’epoca non sono entusiastiche ma vedono la musica di Léo Delibes come una rivelazione. “Se l’avessi sentita prima non avrei composto il Lago dei Cigni”, disse Ciaikovskij affascinato dalla raffinatezza di una composizione ricchissima nei ritmi e nelle armonie. A raccontare l’aneddoto è il direttore d’orchestra Kevin Rhodes, che aggiunge: “Nel balletto ottocentesco la musica che accompagna i personaggi femminili è tenue e romantica. In questo caso è l’opposto. Tutta fuoco ed energia. Farebbe pensare a un Sigfrido wagneriano al femminile. Mentre nella variazione maschile suonano un flauto e due clarinetti”. Ma quello di Sylvia non è l’unico ruolo femminile forte: “Ho lavorato molto sull’approfondimento psicologico dei personaggi, rispetto alla versione originale – spiega il coreografo – La dea della caccia e della luna Diana, la cui presenza era marginale, ha qui un ruolo chiave. E’ in relazione con la protagonista sin dall’inizio. Protegge l’amore di Sylvia perché in quell’amore vede il suo per Endimione”.
Tre atti pieni di variazioni, passi a due, interazione fra personaggi e momenti corali di grande impatto visivo. La coreografia, pur trattandosi di un balletto di tradizione francese ottocentesca, è stilisticamente fresca. “Oggi i ballerini hanno fisicità diverse dai tempi di Valsav Nijinsky (il genio del balletto russo che danzò il rivoluzionario L’Après-midi d’un faune nel 1912, ndr), puntualizza Legris. “La tecnica della danza classica si è evoluta per esprimere i movimenti e le linee dei corpi degli artisti di oggi”. L’allestimento di Luisa Spinatelli evoca un mondo fantastico, con diagonali di alberi dove lo sguardo dello spettatore intravede, immagina. “Per me i tre atti richiamano gli elementi dell’acqua, del fuoco e dell’aria. Trasparenze, leggerezze, colori che prendono ispirazione dagli affreschi pompeiani. Ma non in maniera diretta. Come ricordi”. Ad interpretare Sylvia saranno Martina Arduino, classe 1996, promossa l’anno scorso da corpo di ballo a prima ballerina saltando il ruolo di solista, e Nicoletta Manni. Nella recita del 14 gennaio Maria Celeste Losa. Nel ruolo di Aminta si alterneranno Claudio Coviello, Marco Agostino e Nicola Del Freo,