La procura di Roma, a vario titolo, contesta l’accusa di misura di rigore non consentita dalla legge, l'abuso d’ufficio e la pubblicazione di immagine di persona privata della libertà
Christian Gabriel Natale Hjort ammanettato e con gli occhi coperti da una benda, privato della possibilità di sapere dove sia e cosa accada intorno a lui mentre è nella caserma dei carabinieri in via Selci a Roma. La foto del giovane statunitense, sospettato per la morte del carabiniere Mario Cerciello Rega, fece il giro del mondo. Ora rischiano il processo i militari dell’Arma accusati, a seconda delle posizioni, di quelle azioni.
La Procura di Roma ha chiuso le indagini, atto che precede la richiesta di rinvio a giudizio, nei confronti dei due carabinieri in servizio all’epoca dei fatti in via in Selci. In particolare i pm di piazzale Clodio, coordinati dal procuratore Michele Prestipino e dall’aggiunto Nunzia D’Elia, contestano a Fabio Manganaro la misura di rigore non consentita dalla legge per avere bendato il giovane californiano, mentre a Silvio Pellegrini viene contestato il reato abuso d’ufficio e pubblicazione di immagine di persona privata della libertà. L’immagine finì nelle chat interne dell’Arma e iniziò a circolare. Poi fu pubblicata.
L’immagine del ragazzo, secondo la ricostruzione dei pm, venne diffusa “su almeno due chat Whatsapp, delle quali una dal titolo “Reduci ex Secondigliano” con 18 partecipanti, dalla quale veniva poi ulteriormente diffusa da terzi ad altri soggetti e chat” arrecando al giovane statunitense “un danno ingiusto”. L’indagato avrebbe anche fornito “specifiche indicazioni sui primi risultati investigativi ottenuti (circa ad esempio il fatto che i ragazzi erano in cerca di cocaina) violando quindi i doveri inerenti alle funzioni o al servizio o comunque abusando delle sua qualità, rivelava a terzi notizie che dovevano rimanere segrete (tale essendo quella relativa alla individuazione di sospettati nel corso delle indagini di polizia giudiziaria) e comunque agevolava la conoscenza”.
Rischia di finire sotto processo anche l’ex comandante dei carabinieri della stazione di Roma-piazza Farnese, Sandro Ottaviani, perché disse che la notte dell’omicidio del vicebrigadiere il collega di pattuglia Andrea Varriale gli aveva consegnato la pistola di ordinanza al pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito. La Procura di Roma ha chiuso questo filone di indagine contestando il reato di falso.