di Riccardo Mastrorillo

Caro Matteo,

abbiamo seguito con attenzione il tuo intervento nell’aula del Senato il 12 dicembre scorso sul finanziamento della politica. Diciamo che hai parlato d’altro, tutto sommato anche assumendo posizioni condivisibili, ma sei rimasto nel solco di quello stile di “furbetto del partitino” che ti ha sempre contraddistinto.

Ci preme infatti approfondire alcune questioni.

Hai ben esordito richiamando i principi della democrazia liberale e l’attacco concentrico cui è sottoposta, attacco che, vogliamo ricordarti, hai contribuito a promuovere da protagonista con una riforma costituzionale pericolosa, soprattutto perché accompagnata da una legge elettorale – rapidamente dichiarata incostituzionale – e da una riforma della Rai che ha fatto strame di tutti i principi liberali, a partire dall’equilibrio dei poteri passando per la definitiva distruzione dell’unica informazione pluralista, magari frutto di spartizioni, ma almeno non asservita esclusivamente al governo in carica.

Paragonarsi ad Aldo Moro e a Bettino Craxi, spiegando subito dopo di non sentirti all’altezza di quei due statisti, non è stata una mossa acuta. Benché Craxi fosse assolutamente uno statista, soprattutto rispetto alla media attuale dei leader politici, nell’immaginario collettivo degli italiani è solitamente considerato in modo non positivo.

Non hai abolito il finanziamento pubblico ai partiti, lo hai solo modificato, e mentre prima i partiti venivano finanziati dallo Stato in proporzione ai loro voti, oggi vengono finanziati in proporzione al reddito dei loro sostenitori, una riforma abominevole e vergognosa, di cui in realtà – anziché “rivendicarla” – dovresti semplicemente vergognarti. Hai ceduto allora alla pancia della più spicciola antipolitica, perché non sono soldi privati quelli del due per mille: hai trovato il modo di rendere maggiormente sgradevole una cosa già non gradevolissima, solo facendo credere agli italiani che i soldi ai partiti non vengono presi dalle loro tasche, e che sono loro a decidere se darli o meno, poi di fatto i partiti percepiscono un importo pressoché analogo.

Si poteva prevedere una forma di provvidenze in servizi, perché la democrazia, caro Matteo, ha un costo, e non si può lasciare che la copertura di quel costo venga trovata tramite finanziatori privati in cerca di referenti politici, che ovviamente si aspettano una certa “gratitudine”. Non si può scambiare il finanziamento politico, anche a una fondazione culturale “di area”, come fosse beneficenza.

Sarebbe giusto che i cittadini sappiano chi finanzia anche le “fondazioni d’area”. Soprattutto dopo aver favorito l’approvazione di leggi confusionarie, sul voto di scambio e sul traffico di influenze: non si può colpevolizzare la magistratura per invasione di campo; anche se potremmo ammettere che in parte ci possa essere stata, quando il potere legislativo promuove norme incomprensibili e inapplicabili, votate solo per demagogia e populismo, che proprio per come sono scritte consegnano un potere assolutamente sproporzionato direttamente a funzionari dello Stato.

Le stesse norme sui partiti politici, da te rivendicate, condizionano i benefici fiscali e il due per mille, alla valutazione di una commissione prevalentemente composta da giudici tributari, che deve stabilire se lo statuto di un partito è più o meno democratico. Ma perché parli di “vuoto politico” di fronte alle norme, per fortuna poi abolite, della tua legge elettorale – “l’Italicum” – che addirittura sottoponeva a quella stessa commissione la valutazione se una formazione politica potesse o meno partecipare alle elezioni?

Proprio tu parli di separazione dei poteri? Tu che hai confermato, al momento di assumere la guida del governo, un magistrato proposto da Forza Italia a sottosegretario alla Giustizia, magistrato che hai poi candidato al Parlamento e che è stato largamente coinvolto nelle polemiche dei mesi scorsi che hanno portato alla sostituzione addirittura di alcuni membri del Csm?

Vedi Matteo, anche tu sei ostaggio della stessa lacuna culturale che investe gran parte della politica italiana. Essere liberali non significa fare i propri comodi, perseguire i propri interessi e infastidirsi quando qualcuno vuole controllare cosa fai; questa interpretazione fa comodo tanto a una certa sinistra “rosso antico” quanto alla destra “affarona” e a quella estrema. Essere liberali significa promuovere norme di trasparenza, norme generali e non particolari, atte a impedire a chiunque che i suoi legittimi interessi possano prevalere su quelli generali: per questo si dovrebbe promuovere l’indipendenza dell’informazione, la trasparenza nei conflitti di interesse, la separazione dei poteri. Ma soprattutto si dovrebbero promuovere norme applicabili, con la minima necessità di interpretazione, perché, caro Matteo, non sempre ad interpretare le norme troverai qualcuno che ti vuole bene, soprattutto quando si ha un carattere spigoloso come il tuo.

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