Il referendum propositivo, strumento di democrazia diretta proposto dal Movimento 5 stelle, dopo la prima approvazione della riforma alla Camera dei deputati dello scorso febbraio e la successiva caduta dell’esecutivo Lega-M5s, rischia di rimanere bloccato. Il motivo? Le distanze tra 5 stelle e Pd, i due partiti principali del governo Conte 2, insieme ai renziani di Italia Viva e a LeU. In Senato, infatti, il dibattito non è nemmeno iniziato. E, come ammette lo stesso ex capogruppo 5 Stelle a Montecitorio Francesco D’Uva, un’accelerazione oggi non è prevista. “Sacrificato sull’altare della governabilità? Trovare un’intesa con i dem non sarà semplice, per loro non è una priorità. Per noi resta comunque un obiettivo”, insiste, a margine della conferenza di presentazione del libro del vicedirettore del Fatto quotidiano Salvatore Cannavò, “Da Rousseau alla piattaforma Rousseau“, a Roma, alla facoltà di Scienze politiche della Sapienza. Prima di iniziare una discussione sul tema, assente o quasi tra quelli cari al Conte 2, il Pd pretende dei forti cambiamenti. “Per noi è una proposta da lasciare nel dimenticatoio? Di tutto si può discutere, eravamo noi i primi ad aver presentato una proposta in materia. Ma rispetto al testo passato alla Camera servono modifiche: non ci sono i limiti sulle materie, come sui temi penali e delle leggi di spesa. E soprattutto resta un automatismo per cui, anche se il Parlamento fa qualcosa che va incontro a quello che chiedono i promotori, il referendum si fa lo stesso. E questo è inaccettabile perché c’è uno schema di contrapposizione e non di complementarità”, spiega Stefano Ceccanti, deputato Pd presente alla presentazione. Un nodo importante, anche se dal M5s sperano che un dialogo possa riaprirsi per il 2020.
Ma a dividere dem e Movimento è, rimanendo in tema di democrazia diretta, anche la stessa piattaforma utilizzata dai 5 Stelle, Rousseau, più volte contestata dal Nazareno, almeno prima dell’accordo di governo, e al centro del nuovo libro di Salvatore Cannavò. “Il vero tema è se questa permetta davvero la democrazia diretta o se, con il meccanismo del plebiscito, un ‘sì’ o un ‘no’ su una scelta determinata, rischi di sfociare nel plebiscito di Bonaparte”, precisa il vicedirettore del Fatto quotidiano. Un pericolo ammesso anche dall’ex capogruppo D’Uva: “In effetti il rischio c’è, perché al momento tutte le votazioni sono dei plebisciti. Quando dall’alto si decide che si può votare, si vota. Sarebbe bello che anche dal basso l’iscritto a Rousseau possa porre in votazione qualcosa. Al momento questa funzione manca. Ma domani non è detto che non ci possa essere, la piattaforma è in continuo aggiornamento”.