di Francesca Garisto* e Fabio Savoldelli**
Da diverse settimane si discute con gran fervore circa l’opportunità di reintrodurre il cosiddetto scudo penale nella normativa “salva Ilva”. Ma cos’è esattamente lo scudo penale? Lo scudo penale, introdotto dal dl 1/2015, prevedeva testualmente che le condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale imposto all’ex Ilva non potessero dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati.
Piano ambientale che – lo si ricorda – fa riferimento al “Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria”, adottato con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri il 14 marzo 2014. Questo piano prevede le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e costituisce “adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”, secondo quanto stabilito dall’art. 2 co. 6 del dl 1/2015.
In altre parole, l’introduzione dello scudo penale significava il venire meno sia della responsabilità penale dei diversi amministratori (lo stesso articolo su indicato recitava: “del Commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati”) per gli eventuali reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni in attuazione del Piano ambientale, sia la “responsabilità amministrativa dell’ente”, ovvero dell’azienda (come previsto dal d.lgs. 231/01) che si configura, tra l’altro, laddove venga accertata la commissione di un reato (fra quelli elencati nel d.lgs. 231/2001) da parte di un soggetto interno all’azienda stessa ad interesse o a vantaggio dell’impresa.
A tale ultimo proposito, per comprendere la rilevanza della scelta di eliminare la “responsabilità amministrativa dell’ente” dalla normativa “salva Ilva”, si pensi che l’applicazione del d.lgs. 231/2001 permetterebbe all’Autorità giudiziaria ciò che la norma penale, destinata alla repressione dei reati commessi dalle sole persone fisiche, non può consentire: vale a dire la possibilità di disporre il sequestro e l’eventuale confisca dei beni nella disponibilità dell’azienda, che spesso costituiscono patrimoni di ingentissimo valore.
Nel giugno del 2017 la società Arcelor Mittal è subentrata nella gestione dell’impianto siderurgico, ma nel contratto di affitto sottoscritto con il governo – è bene precisarlo – non era previsto alcuno specifico impegno da parte del governo di garantire per il futuro la permanenza dello scudo penale, ma solo la possibilità per la Arcelor Mittal di svincolarsi dall’impegno contrattuale qualora fossero intervenute modifiche alla normativa ambientale. Non penale quindi, ma ambientale.
In conclusione, se la permanenza dello scudo penale non era stato oggetto di specifico accordo fra la multinazionale franco-indiana e il governo, qual è la vera ragione per cui la Arcelor Mittal intende sottrarsi dalla gestione dello stabilimento siderurgico? Difficile dirlo, ma con la presentazione del ricorso al Tribunale di Milano volto alla risoluzione del contratto, la società ha già ottenuto la disponibilità del governo a ridiscutere le condizioni del contratto a suo tempo concordate, soprattutto in riferimento ai costi della bonifica dell’area ex Ilva, per cui Arcelor Mittal ora chiede che intervengano investimenti pubblici per circa un miliardo di euro.
Peraltro, è notizia di questi giorni che i Commissari straordinari che hanno sottoscritto il contratto di affitto dello stabilimento siderurgico con Arcelor Mittal hanno presentato ricorso al Tribunale civile di Milano, oltre a un esposto alla Procura della Repubblica di Taranto, in quanto la multinazionale starebbe cercando di perseguire l’“illegittimo intento” di sciogliere il contratto d’affitto, adottando comportamenti preordinati a “recare un livello di offensività devastante tanto per la produzione di settore quanto per l’intera economia nazionale”.
Gli stessi Commissari denunciano, tra l’altro, che in base al contratto d’affitto, è stato consegnato alla Arcelor Mittal un magazzino per un valore di 500 milioni di euro di materie prime che, però, nel tempo sarebbe stato svuotato.
Per il momento, va detto, si tratta solo di ipotesi di reato, ma dinanzi ai rischi legati alla salute pubblica e all’occupazione, oltre alla necessità per il Paese di garantire la sopravvivenza del proprio stabilimento siderurgico, sarebbe prudente che la politica valutasse attentamente le reali intenzioni della multinazionale franco-indiana, per evitare la creazione di aree di impunità intorno a investimenti che perseguono unicamente il soddisfacimento di interessi privati.
* Avvocata penalista, consulente della CGIL di Milano, vice-presidente del Centro antiviolenza Casa delle Donne Maltrattate di Milano, da sempre impegnata nella difesa delle donne vittime di violenza, psicologica, fisica ed economica, che si consuma in ambito “domestico” e nella difesa di uomini e donne che subiscono violenza, in tutte le sue espressioni, nei luoghi di lavoro.
**Avvocato penalista e Of Counsel presso lo Studio Legale Lexa sui temi inerenti la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e il diritto alla tutela dei dati personali.