I politici provano il tutto per tutto per salvarsi le poltrone: meno di due mesi dopo aver votato per la legge costituzionale che taglia i parlamentari, i senatori sono riusciti a raccogliere le 64 firme necessarie per chiedere un referendum confermativo e bloccare la riforma. Eppure solo a inizio ottobre la Camera aveva votato quasi all’unanimità per ridurre i membri di Montecitorio (da 630 a 400 deputati) e Palazzo Madama (da 315 a 200 senatori): a favore si schierarono tutti nella maggioranza (M5s, Pd, Iv e Leu), ma pure Lega, Fi e Fdi. Spente le telecamere sulle Aule, sono iniziate le manovre per annullare l’intervento. Con un duplice effetto: salvarsi il posto in Parlamento, ma anche allontanare lo spettro del voto anticipato. Se si andasse a votare ora infatti, la riforma non varrebbe perché prima si deve attendere lo svolgimento della consultazione. Uno scenario poco favorevole per il M5s (promotore del taglio), ma anche per gli altri partiti che dovrebbero giustificare il tentativo di salvare più poltrone possibile davanti agli occhi degli elettori.

Conte: “Governo non sarà influenzato”. Salvini esulta – “Abbiamo tante cose da fare, abbiamo un agenda fitta, io giorno dopo giorno lavoro per risolvere i problemi del paese. Sono percorsi istituzionali, non influenza e non può influenzare l’agenda di governo”, ha detto Giuseppe Conte rispondendo a chi gli chiede se il referendum sul taglio dei parlamentari influenzi l’agenda di governo. “Non vedo l’ora di confrontarmi nella campagna per il referendum sul taglio dei parlamentari. Voglio vedere chi ci sarà dall’altra parte. È chiaro che un referendum fa sempre bene ma perché un parlamentare firma per il referendum visto che il risultato è quasi scontato? Potrebbe essere che in questi sei mesi a qualcuno venga la voglia di andare a votare così il referendum si sposta di qualche mese e si dovranno eleggere mille parlamentari: mettiamo che un governo si formi , ma che governo è quel governo che si forma per fregare gli italiani che poi comunque dovranno tornare a votare per i taglio dei parlamentari?”, ha detto invece Di Maio. Il primo a commentare il raggiungimento del quorum era stato il ministro M5s per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà: “Sono sicuro che il Paese sarà dalla parte del M5s”. Ma se gli altri stanno in silenzio, c’è anche un primo sostenitore dell’iniziativa ed è il leader del Carroccio Matteo Salvini: “Sono d’accordo sui referendum in generale, ho votato quella riforma e quando i cittadini confermano o smentiscono una riforma approvata dal Parlamento secondo me è sempre la scelta migliore”. Proprio il segretario leghista fece cadere il governo gialloverde ad agosto scorso: era la vigilia dell’ultimo voto sul taglio e fu accusato di voler salvare la sua poltrona e quella dei suoi. Salvini a quel punto propose anche di votare la riforma e poi tornare subito al voto, ma in quel caso fu il Quirinale a ricordare che l’ipotesi era incostituzionale e non si poteva fare. Anche per questo motivo, l’esecutivo Pd-M5s è nato a condizione che i democratici dessero il via libera alla riforma che fino a quel momento avevano contrastato votando sempre contro. Il compromesso che ha messo d’accordo tutti, almeno finora, è stato quello di far partire un pacchetto di riforme che controbilanciassero la riduzione delle poltrone.

Il fronte anti riforma – Nonostante l’intesa tra dem e 5 stelle, già dal giorno dopo l’approvazione della legge costituzionale, è partita la macchina per chiedere il referendum confermativo. Secondo i promotori l’azione è stata fatta “per dare un senso” alla riforma. Sono stati proprio loro, il dem Tommaso Nannicini (Pd) e gli azzurri Andrea Cangini e Nazario Pagano, a dare l’annuncio oggi del raggiungimento del quorum per le firme necessarie e ringraziando il sostegno dei Radicali: “È una buona notizia”, ha dichiarato Nannicini, “perché l’ultima parola spetterà ai cittadini e potremo finalmente aprire una discussione pubblica sul tema. Sul piano politico i mesi in più che abbiamo davanti saranno utili per capire se arriveranno una buona legge elettorale e quei correttivi costituzionali che la maggioranza si è impegnata a introdurre. Dobbiamo semplicemente dare un senso a un taglio lineare della rappresentanza politica che al momento un senso non ce l’ha. E sarà anche uno stimolo positivo perché la maggioranza possa rafforzare la propria coesione nel 2020 rilanciando un programma di legislatura”.

Come votò il Senato – La lista dei senatori che hanno sottoscritto la richiesta di referendum sarà diffusa in una conferenza stampa alla Camera, prevista alle 17.30. La decisione di fare marcia indietro dopo il via libera all’unanimità (o quasi) di inizio ottobre è stata presa dai singoli parlamentari, senza che i partiti per il momento si siano schierati a favore o contro (almeno pubblicamente) per il referendum. Alla Camera, al momento del via libera finale, sono stati pochi quelli che non hanno votato: 10 M5s (di cui 4 in missione, 5 assenti e il deputato Andrea Colletti che ha dichiarato in dissenso con il gruppo), 25 esponenti Fi, 8 leghisti e 2 Iv. I 14 no vennero tutti dal gruppo Misto. Due gli astenuti: Bruno Tabacci del Misto e la dem Angela Schirò. Nell’ultimo passaggio al Senato invece, avvenuto a luglio 2019 e quindi prima che cadesse il governo gialloverde, i no erano stati 50: di questi 40 senatori del Pd (sul totale di 52), 9 del Misto e Pier Ferdinando Casini delle Autonomie.

Le firme pro referendum – Le firme per chiedere il referendum sono trasversali. Tra gli altri ad esempio figurano due ex 5 stelle: Gregorio De Falco e Paola Nugnes. Entrambi in Aula avevano votato contro la riforma a luglio 2019. C’è poi appunto Cangini, senatore Fi ed ex direttore di Resto del Carlino e Quotidiano nazionale, che a febbraio scorso non ha partecipato al voto. Così come il dem Nannicini. Ha fatto campagna per raccogliere le firme anche Roberto Giachetti, deputato di Italia viva: in Aula ad ottobre ha votato a favore del taglio, ma usò lo spazio destinato alle dichiarazione spontanee per annunciare la sua contrarietà e l’intenzione di farsi promotore di un referendum per smontare la riforma. E così ha fatto, aiutando il gruppo di senatori ad arrivare al quorum.

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