La ‘ndrangheta anche sotto dorma di un tiranno che soffoca la libertà e i diritti dei suoi sudditi. Il giudice per le indagini preliminari di Catanzaro, Barbara Saccà, nelle pagine finali dell’ordinanza con cui ha disposto l’esecuzione di una delle più imponenti operazioni antimafia degli ultimi anni, parlando degli indagati cui è contestato il 416 bis ovvero l’associazione a delinquere di stampo mafioso scrive: “.. hanno creato sull’intera provincia vibonese un diffuso stato di assoggettamento e succubanza psicologica, tale da indurre tutte le vittime a subire le vessazioni e i soprusi”. Questo perché non ci sono solo i politici componenti delle forze dell’ordine o massoni coinvolti nell’indagine che ha portato a 334 arresti da parte degli uomini dei carabinieri del Ros: è lunghissimo anche l’elenco delle azioni violente degli uomini delle cosche contro i cittadini molto spesso così impauriti da non pensare neanche di denunciare di aver subito usura, estorsioni, incendi di ogni tipo.

“Gli indagati sono stati in grado di opprimere negli anni con la violenza e le minacce, la popolazione, che non a caso, ormai si rivolge alla ‘ndrangheta per accedere a trattative, a costo di rinunciare alla propria liberà e all’esercizio dei propri diritti. L’atteggiamento descritto – si legge nell’ordinanza – è sintomatico della paura in cui versa la popolazione, che si evidenzia anche nella circostanza che quasi tutte le vittime di ‘ndrangheta non hanno sporto denuncia nei confronti degli autori dei reati”. Ed è anche per questo motivo – “per l’eccezionale portata delle esigenze cautelari” – che il giudice ha disposto il carcere per tre ultrasettantenni. Del resto il magistrato riconosce che è stata dimostrata dalla Dda di Catanzaro “l’estrema pericolosità sociale dei singoli partecipi ai vari sodalizi… dal capo supremo Luigi Mancuso, ai vari vertici di ciascuna consorteria fino agli organizzatori, i promotori, i singoli partecipi e associati”. Per il gip non ci può essere altra misura che il carcere per gli indagati per 416 bis perché “ciascuno di loro si è reso autore di condotte che hanno deliberatamente agevolato le cosche di ‘ndrangheta rafforzandone il potere su un territorio storicamente afflitto dalla criminalità impedendone il riscatto culturale e dal potere mafioso“.

Ci sono poi coloro – tra molte donne – per cui sono stati disposti gli arresti domiciliari per intestazione fittizia di beni o trasferimento fraudolento di valori per cui il giudice scrive: “L’estrema gravità del reato commesso che denota l’attitudine della ‘ndrangheta della nuova generazione a eludere le norme in materia di prevenzione, dissimulando la proprietà di beni, confondendo la riferibilità dei patrimoni, utilizzando in prevalenza familiari, persone legate a loro da vincoli di amicizia o di affetto … consentendo così all’organizzazione criminale più potente del mondo, soprattutto in ambito economico, di infiltrarsi e permanere nel settore dell’impresa e del commercio, radicandosi capillarmente e alternando gli assetti del mercato e la sicurezza dello stesso, eludendo le disposizioni in materia di prevenzione e favorendo il reimpiego dei profitti derivanti dalle attività illecite”.

Diverso il discorso per i colletti bianchi: “Politici coinvolti, avvocati, commercialisti, funzionari pubblici, cancellieri del Tribunale, è tutta gente – ha spiegato il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri – che aveva un lavoro non aveva bisogno di mettersi al servizio dell’ndrangheta. Le cosche non sono in grado di fare riciclaggio sofisticato, per farlo hanno bisogno di professionisti i quali si sono messi a disposizione”.

Ha collaborato Lucio Musolino

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