Trecentotrenta arresti, altre 4 misure cautelari, le cosche di ‘ndrangheta del Vibonese smantellate insieme alle loro articolazioni nel mondo imprenditoriale e politico, a iniziare da quel Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia e passato nel 2017 a Fratelli d’Italia, ritenuto la ‘cerniera’ verso i mondi con cui la famiglia Mancuso, mentre “assoggettava e opprimeva” il territorio, voleva fare affari. Estesi, estesissimi, come dimostra la vastità dell’inchiesta condotta dalla procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri che ha messo insieme un puzzle con 416 indagati e persone fermate in 11 regioni italiane dalla Lombardia alla Sicilia, oltre che in Germania, Bulgaria e Svizzera. Tre anni e mezzo di lavoro condotto dalla magistratura e dai carabinieri, compreso il Ros, per la “più grande operazione dopo quella che porto al maxi-processo di Palermo a Cosa Nostra”, ha spiegato Gratteri. Per la “eccezionale gravità” delle contestazioni in 3 casi è stato disposto il carcere anche per gli ultra 70enni.

I politici coinvolti e il carabiniere infedele – E che ha trascinato tra gli indagati, oltre a Pittelli, il sindaco di Pizzo Gianluca Callipo, finito in carcere come l’ex senatore. In cella anche un ufficiale dei carabinieri, Giorgio Naselli, ex comandante del reparto operativo di Catanzaro e fino a ottobre comandante provinciale a Teramo prima di essere trasferito al Centro Sportivo Carabinieri nel ruolo di vice comandante. Ai domiciliari l’ex consigliere regionale del Pd Pietro Giamborino e il segretario del Psi calabrese Luigi Incarnato, oltre a Filippo Nesci, comandante della Polizia municipale di Vibo Valentia, ritenuto responsabile di episodi di corruzione in favore di esponenti dell’associazione, ed Enrico Caria, all’epoca dei fatti comandante della Polizia locale di Pizzo che, in concorso con Callipo, avrebbe agito nell’interesse dei Mazzotta, egemoni sul territorio.

Adamo e il maresciallo della Finanza – Divieto di dimora in Calabria, invece, per Nicola Adamo, ex vicepresidente della Regione, fedelissimo del governatore Mario Oliverio e marito della deputata del Partito democratico Enza Bruno Bossio. L’accusa nei suoi confronti è di traffico di influenze – senza l’aggravante mafiosa – perché, come si legge nel capo d’imputazione, avrebbe accettato di intercedere con il Tar, “sfruttando la propria relazione con il giudice Nicola Durante”, presidente della II Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, per “sostenere la posizione processuale” di un imprenditore catanese in cambio della proposta di ricevere 50mila euro come “prezzo della sua mediazione illecita”. Un’accusa che l’ex parlamentare rigetta in toto e definisce “ignominioso e riprovevole” essere stato “inserito in un contesto di indagini concernenti la criminalità organizzata di tipo mafioso”.

Le fughe di notizie e le accuse – Tra gli indagati figura anche un maresciallo della Guardia di finanza – poi trasferito in servizio alla Presidenza del Consiglio – per il quale era stato richiesto l’arresto, negato però dal giudice per le indagini preliminari. L’operazione mastodontica, come ha spiegato Gratteri parlando di un suo “sogno”, è iniziata il giorno stesso del suo insediamento in procura a Catanzaro e ha rischiato di essere danneggiata più volte da fughe di notizie, l’ultima volta mercoledì sera. Tanto che i 3000 carabinieri impegnati nel blitz hanno dovuto accelerare anticipando l’operazione di 24 ore. Le accuse, contestate a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio ed altri numerosi reati aggravati dalle modalità mafiose.

Pittelli, l’uomo cerniera tra cosche e politica – Contestata anche all’avvocato ed ex senatore Pittelli che, secondo gli investigatori, “avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale”. Dalle indagini sarebbero emersi anche i rapporti diretti tra Pittelli, iscritto al Grande Oriente d’Italia, e Luigi Mancuso, uno dei boss dell’omonima cosca.

Giamborino a caccia di voti – L’ex consigliere regionale del Pd Giamborino è invece ritenuto “formalmente affiliato alla locale di Piscopio”. Il politico, secondo l’accusa, avrebbe intessuto legami con alcuni dei più importanti appartenenti alla ‘ndrangheta vibonese per garantirsi voti ed appoggi necessari alla sua ascesa politica, divenendo, di fatto, “uno stabile collegamento dell’associazione con la politica calabrese, funzionale alla concessione illecita di appalti pubblici e di posti di lavoro per affiliati o soggetti comunque contigui alla consorteria”.

Il sindaco e i riti del “tre quartino” – Il sindaco Callipo, eletto con il Pd ma poi uscito dai dem e recentemente avvicinatosi al sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, di Forza Italia, al quale ha espresso il suo sostegno alla candidatura alle prossime regionali, secondo l’accusa, grazie al suo ruolo politico ed amministrativo, avrebbe tenuto condotte amministrative illecite e favorevoli alle cosche, garantendo ad alcuni indagati benefici nella gestione di attività imprenditoriali. Nel corso dell’inchiesta, sono stati documentati summit di ‘ndrangheta finalizzati al conferimento di promozioni e di incarichi ad affiliati di rilievo acquisendo elementi di riscontro in merito alle formule rituali utilizzate dai sodali per l’assegnazione del grado di “tre quartino”. In totale sono stati sequestrati 15 milioni di euro di beni.

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