Sono oltre 170mila le persone “spiate” e i cui dati, contenuti in date base, sono stati venduti. Un business che aveva un vero e proprio tariffario, con corrispettivi variabili tra 0,10 centesimi e 10 euro per “visura”. Secondo i pm di Roma a comprare le informazioni erano società di investigazioni nel settore del recupero credito e anche usurai arrestati nel maggio del 2018 nell’ambito di un’altra indagine della Procura di Roma.
Dodici le misure, disposte dal giudice per le indagini preliminari di Roma, eseguite dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza. Sei arresti domiciliari, quattro sospensioni dal pubblico ufficio e due interdizioni dall’esercizio dell’attività imprenditoriale. Gli indagati rispondo, a vario titolo, di corruzione e accesso abusivo ai sistemi informatici.
In quello che viene definito “un collaudato sistema illecito” c’erano appartenenti ad enti pubblici che hanno effettuato, nell’arco di quasi quattro anni, accessi abusivi alle banche dati protette da misure di sicurezza (chiavi e codici d’accesso), e fornendo i dati in cambio di denaro. Le società coinvolte – attivate da propri clienti alla ricerca di informazioni sul coniuge, un partner commerciale, un dipendente o un debitore – si rivolgevano normalmente ad ulteriori soggetti intermediari che curavano stabilmente i rapporti con i dipendenti infedeli.
L’estrapolazione abusiva ha riguardato dati di vario genere: generalità complete, codici fiscali, indirizzi di residenza, posizioni lavorative, redditi e altri dati patrimoniali, visure camerali, contributi versati. In alcuni casi, tali informazioni venivano richieste da usurai. Il pagamento dei pubblici ufficiali corrotti avveniva, periodicamente, secondo una pluralità di metodi, tra cui ricariche di carte poste-pay intestate allo stesso corruttore o a soggetti terzi compiacenti, vaglia postali o consegna di buste in contanti.