Finiti gli applausi per la decisione di papa Francesco di abrogare il “segreto pontificio” sui procedimenti ecclesiastici in materia di abusi sessuali, il vero lavoro comincia adesso. E riguarda i vescovi nelle loro diocesi e i governanti degli stati. Perché il decreto di Francesco toglie ogni alibi all’inazione dei vescovi e all’inerzia delle classi politiche nazionali.
A partire da questo momento, infatti, nessun vescovo potrà più nascondersi nella sua diocesi dietro al “segreto pontificio” ed è tenuto a rendere conto alla vittima o al denunciante (se si tratta di una persona terza) di ciò che fa o non fa a livello diocesano una volta ricevuta la segnalazione di un crimine o di un sospetto crimine.
Il vescovo dovrà rendere conto delle indagini iniziate in diocesi, delle comunicazioni inviate in Vaticano, delle eventuali risposte ricevute dal S. Uffizio (Congregazione per la Dottrina della fede) e delle misure adottate o non adottate nei confronti del colpevole. E dovrà rendere accessibili alle vittime anche quanto eventualmente sin qui custodito negli archivi diocesani riguardo a sospetti predatori seriali, già oggetto di denunce in passato.
Non sarà più possibile il caso scandaloso del prete Gianni Trotta di Foggia, condannato per abusi nel processo ecclesiastico nel 2009 e privato della tonaca, ma “salvato” dall’indicazione della Congregazione per la Dottrina della fede al vescovo locale di non diffondere la notizia per non turbare i fedeli. Con il risultato che Trotta si è riciclato come allenatore sportivo di una squadra giovanile e tra il 2012 e il 2014 ha ripreso a commettere crimini. Nel 2019 è stato condannato in appello a venti anni di carcere per abusi su dieci ragazzi tra gli 11 e i 13 anni.
E’ facilmente prevedibile che molti vescovi guarderanno con malumore e paura alla svolta radicale di papa Bergoglio. Ma benché avversato, sabotato o ingannato (come è successo in modo eclatante da parte delle alte gerarchie cilene), Francesco è fermamente deciso a incardinare una linea di tolleranza zero.
E’ noto che – a partire dalla richiesta di papa Ratzinger nel 2010 affinché ogni conferenza episcopale redigesse linee guida per contrastare gli abusi – il 90 per cento delle conferenze episcopali del mondo, in prima linea la Cei, non ha fatto assolutamente nulla per mettere in piedi strutture che accogliessero le denunce, accompagnassero le vittime nei processi e le risarcissero. Soltanto l’anno scorso, sotto la nuova presidenza del cardinale Bassetti, la Cei ha cominciato a organizzare un Servizio di prevenzione nazionale, che ora si sta strutturando a livello diocesano.
E’ bene da questo punto di vista che i vescovi non rimangano passivi ma siano rapidi nell’organizzarsi. Perché l’epoca dell’inerzia e delle coperture giustificate con il segreto pontificio e la presunta necessità di non scalfire il prestigio di Santa Madre Chiesa è definitivamente finita.
Resta esemplare la rapidità con cui già nel 2010 si mosse la diocesi di Bolzano-Bressanone sotto il vescovo Karl Golser, che nell’arco di un anno creò uno sportello per le denunce, indagò, punì chi dovere, risarcì dove c’era da risarcire, portando alla luce una quindicina di casi (riguardanti un arco di tempo dalla fine della Seconda guerra mondiale al 2010). Poiché non è immaginabile che la diocesi altoatesina sia una speciale sentina di vizi, la statistica di casi di abuso “dormienti” in tutte le 200 diocesi italiane si può tranquillamente stimare in 3000.
Sta alle conferenze episcopali di tutto il mondo attrezzarsi adesso in maniera efficace, non avendo paura di aprire gli “armadi della vergogna” esistenti in qualche stanza delle curie diocesane perché la scoperta dei colpevoli, che per decenni l’hanno fatta franca – il caso Preynat a Lione insegni – è un atto sacrosanto di giustizia dovuta alle vittime.
Ma la svolta di Francesco mette di fronte alle loro responsabilità anche la classe politica dei singoli stati. Il decreto papale apre la strada alla più ampia collaborazione con la giustizia statale. Con un tratto di penna il papa argentino ha strappato il manto clericale di un presunto dominio riservato della Chiesa sull’infamia degli abusi commessi dal clero. Francesco ha tracciato una linea netta di divisione delle sfere. Alla Chiesa decidere se un prete è degno di svolgere il ruolo sacerdotale, allo Stato – a cui secondo il Papa è dovuta una cooperazione senza remore – processare e mettere in carcere il cittadino stupratore in tonaca.
Dunque non c’è più nessun alibi per le autorità politiche nazionali, che finora con la scusa ridicola di non volere entrare nella sfera della Chiesa hanno evitato di varare leggi che obblighino il vescovo a denunciare il prete fondatamente accusato di possibili crimini. Una legge, che stabilisce l’obbligo di denuncia per il vescovo, esiste in Francia e in altri paesi democratici. L’Italia si svegli. Il pseudo-riformista Renzi, il pseudo-liberale Berlusconi, il sovranista baciarosari Salvini hanno finto di non pensarci. Il governo Conte, visto l’incoraggiamento papale, potrebbe finalmente muoversi nella direzione giusta.