di Andreina Fidanza
Ad inizio ottobre eravamo tutti collegati con l’Aula di Montecitorio, una giornata che pur non mutando radicalmente le sorti del Paese divenne storica per il via libera definitivo da parte della Camera (553 Sì) alla riforma costituzionale che riduceva i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Quel disegno di legge voluto, dichiarato, promesso, era uno dei punti fondamentali del programma elettorale del Movimento 5 Stelle che raccolse, stranamente e per la prima volta, una maggioranza trasversale: Pd, Leu, Italia Viva, Fdi, Fi e Lega, tutti insieme appassionatamente.
Insomma, a obiettivi delle telecamere puntati e microfoni dei giornalisti accesi la politica italiana dichiarò al Paese intero di voler dare una sterzata all’efficienza dei lavori parlamentari e dare un segnale di maggiore vicinanza nei confronti dei cittadini. Una giornata storica, come dichiararono vari esponenti dei 5 Stelle, che ebbe però una coda che sinistramente preannuncio quello a cui si è assistito in queste ultime ore.
Allora fu il renziano Roberto Giachetti, dopo aver votato a favore, che annunciò la raccolta firme per chiedere un referendum, dichiarando apertamente: “Se è vero che il nostro sistema va riformato, è evidente che la risposta non può essere il taglio dei parlamentari”.
Oggi, a distanza di due mesi da quella maggioranza bulgara, Tommaso Nannicini (Pd) e gli azzurri Andrea Cangini e Nazario Pagano, promotori e aiutati dallo stesso Giachetti nell’iniziativa, hanno orgogliosamente annunciato che le 64 firme necessarie per chiedere un referendum confermativo e bloccare la riforma sono state raccolte.
Una manovra che agli occhi degli elettori e di chi semplicemente osserva dice che: a) in molti hanno pensato esclusivamente a salvarsi il posto in Parlamento; b) gli stessi hanno allontanato l’eventuale voto anticipato; c) a telecamere spente la politica ha nuovamente offerto il peggio di sé.
Insomma, molteplici scenari che da una parte congelano l’attuale composizione delle Camere e dall’altra mantengono inalterate le forze di maggioranza e opposizione, in linea con l’ormai palese volontà di un centro-destra che sponsorizza da mesi il voler andare al voto ma che all’atto pratico tende a stare il più lontano possibile dalle urne per un ormai probabile idiosincrasia, come avvenuto a metà agosto, ai pieni poteri.
Una mossa dalle mille sfaccettature ma che ancora una volta, per l’ennesima volta ha evidenziato come la politica, quella che non a caso le Sardine vorrebbero più responsabile nelle stanze istituzionali e meno propagandistica in televisione e nei social, è riuscita – questa volta a telecamere spente – a mettere a nudo la propria incoerenza.
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