Il solo fato che nel protocollo si parli di esuberi, ha fatto andare su tutte le furie i sindacati, neanche interpellati nella definizione del documento. Che contiene, nero su bianco, i paletti da cui far ripartire il dialogo. Sin dalla premessa: “Il Governo italiano, alla luce dell’interesse strategico nazionale delle attività di Ilva e del suo impegno per realizzare il ‘nuovo accordo verde‘ – si legge nella premessa del protocollo d’intesa – è fortemente impegnato a preservare il business come impresa corrente e gli attuali livelli di occupazione sulla base e coerenti con il nuovo piano industriale attualmente in discussione tra le Parti, che mira a produrre circa 8 milioni di tonnellate di acciaio entro il 2023″. Val la pena ricordare che ad oggi il siderurgico tarantino produce circa 4,5 milioni di tonnellate, con prospettive di mercato di certo non rosee.
Alla produzione, poi, è legata la questione della forza lavoro: “Il nuovo piano industriale fornirà i dettagli dei livelli di occupazione durante il periodo considerato e coerenti con il nuovo piano industriale – si legge ancora – Al fine di raggiungere tali livelli di occupazione, tutte le parti che hanno firmato l’accordo sindacale di settembre 2018, il giorno della firma del nuovo accordo, stipuleranno un nuovo accordo sindacale coerente con i termini ivi stabiliti”. Che, quindi, non potranno essere gli stessi di un anno e due mesi fa. Altro passaggio fondamentale è quello sulle “decisioni giudiziarie”: “AM InvestCo farà in modo che le società locatarie gestiscano le rispettive unità aziendali preservandone la piena funzionalità nella misura compatibile con le decisioni giudiziarie” è scritto nel documento. Chiaro il riferimento al possibile spegnimento dell’Altoforno 2, che prefigurerebbe un calo netto della produzione e migliaia di operai in cassintegrazione. Nell’accordo, del resto, ci sarebbe anche una clausola cautelativa da parte del gruppo franco-indiano secondo cui, se fosse confermata la chiusura dell’impianto, non sarà più possibile “mantenere i livelli di produttività indicati nell’udienza del 27 novembre scorso”. Secondo le agenzie di stampa, ArcelorMittal si impegna a gestire lo stabilimento di Taranto “in modo da assicurare, compatibilmente con i vincoli posti dalla decisione del tribunale di Taranto, il funzionamento e la continuità delle attività produttive”.
Per quanto riguarda l’aspetto ambientale, invece, nel protocollo è sottolineato che “le parti riconoscono che l’attuazione del nuovo piano industriale”, chiamato ‘nuovo green deal’ “renderà necessari alcuni impianti di produzione di tecnologia verde e potrebbe richiedere che (…) il Piano Ambientale sia di conseguenza modificato, nel qual caso le parti coopereranno in buona fede al fine di raggiungere tale modifiche il più presto possibile”. ArcelorMittal e l’Ilva in amministrazione straordinaria – si legge ancora – “stanno elaborando congiuntamente, come base per l’accordo, un nuovo piano industriale” nel contesto “di una transizione verso la tecnologia verde (decarbonizzazione)”. E in questo nuovo piano verrà istituita “una nuova società finanziata da azionisti pubblici e/o privati (‘Newco’) al fine di implementare e gestire, tra gli altri, ulteriori impianti di produzione di tecnologia verde nel sito industriale di Taranto”.
Nel “quadro dei negoziati”, è quanto scritto ancora nel documento, “le Parti si adoperano al massimo per trovare soluzioni reciprocamente soddisfacenti, con il coinvolgimento dei pertinenti enti pubblici, rispetto alle questioni in sospeso sollevate dalle parti”. Nel caso in cui i negoziati “portino a un accordo vincolante, nel contesto di tale accordo le Parti regolano la risoluzione della controversia pendente dinanzi al Tribunale di Milano“. Ovvero, ritireranno gli atti nella causa civile che non verrà portata avanti. “Al fine di facilitare i negoziati, Ilva e AM InvestCo chiederanno un rinvio dell’audizione prevista per il 20 dicembre 2019 fino al 31 gennaio 2020 al fine di completare i negoziati dell’accordo”. Cosa che hanno fatto oggi in udienza, tanto che il giudice ha rinviato il procedimento al 7 febbraio. Nel caso, invece, “in cui non sia stato sottoscritto un accordo vincolante e/o la chiusura di tale accordo non sia stata completata“, “ciascuna Parte avrà il diritto di perseguire le proprie pretese nell’ambito del procedimento pendente dinanzi al Tribunale di Milano“.
Riepilogando: si parte dal superamento del ciclo integrale di produzione dell’acciaio, fondato sulla trasformazione dei minerali, e si punterà sul cosiddetto ‘acciaio verde’, con l’utilizzo sia del preridotto di ferro negli altiforni, sia di due forni elettrici. Per quanto riguarda gli investimenti da effettuare, lo Stato è disponibile a versare fino a un miliardo di euro attraverso sue controllate. Argomento correlato è quello relativo agli stanziamenti del gruppo franco indiano. Relativamente alla forza lavoro, nelle scorse settimane Arcelor ha annunciato che vuole 4700 esuberi entro il 2023 (2900 nel 2020), oltre alla cassa integrazione straordinaria per 3500 dipendenti di Taranto come conseguenza dello stop all’altoforno 2; lo Stato, invece, è disposto a tollerare al massimo 1800 esuberi, un numero che tiene in considerazione la produzione di 8 milioni di tonnellate di acciaio prevista per il piano 2023.
A spiegare meglio alcuni passaggi dell’intesa serve la nota inviata da ArcelorMittal in tarda mattinata: “AM.InvestCo ha firmato un accordo non vincolante con i Commissari Ilva nominati dal Governo che costituisce la base per continuare le trattative riguardanti un piano industriale per Ilva, incluso un investimento azionario da parte di un ente partecipato dal Governo” si legge nella nota. “Il nuovo piano industriale prevede investimenti in tecnologia verde da realizzarsi anche attraverso una nuova società finanziata da investitori pubblici e privati – è scritto – I negoziati dunque proseguiranno fino a gennaio 2020. Per quanto riguarda la vicenda dello spegnimento dell’Altoforno 2, invece, a parlare stato il legale di Arcelor: “Non posso dare valutazioni sulla trattativa, è chiaro che se lo spegnimento dell’altoforno è stato disposto con un ordine della magistratura penale e se la stessa dovesse confermare questo ordine di spegnimento in fase di appello non potremo che ottemperare” ha detto l’avvocato Ferdinando Emanuele.
Chi non è soddisfatto (eufemismo) dell’intesa raggiunta sono i sindacati. A criticare duramente l’intesa non vincolante raggiunta a Milano è il leader Uilm, Rocco Palombella, secondo cui si tratta di un “un atto grave” perché “non si può decidere senza coinvolgere i lavoratori”. Il sindacalista non è per nulla ottimista: “Così la trattativa parte in salita e sarà difficile da realizzare entro i tempi previsti da Commissari e Mittal. Siamo preoccupati – ha aggiunto – perché una trattativa non può iniziare dopo che Mittal e il governo abbiano già fissato i limiti. Non è la prima volta ed è per questo che la vertenza si è trascinata per un anno intero. Non si può avviare una trattativa dopo aver definito le condizioni di partenza che per noi restano quelle dell’accordo del 2018 senza un esubero in più”.