Cultura

Lo scaffale dei libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti, da Veronesi a McEwan

di Davide Turrini

DEI LIBRI NON SI BUTTA VIA NIENTE.

Perché nessuno ci ha detto che Ian McEwan è tornato a scrivere un libro decente? Dove eravate tutti quando dopo Cani neri o L’amore fatale venivano pubblicate disgraziate prolisse trame evanescenti e borghesi come Solar o Sabato? Ebbene il vecchio Ian, in versione nichilista alla Hoellebecq, con Macchine come me (Einaudi) è tornato a ruggire. Ci volevano l’intelaiatura sci-fi e una venatura filosofica cupa da delirio post-umano per far tornare a splendere la brillantezza stilistica e l’ambiguità morale dei personaggi del nostro, riconoscibili negli ultimi quindici anni solo a sprazzi in alcune pagine di Chesil Beach. Il 1982 alternativo in cui già si comunica con le mail, ma nelle guerra delle Falkland ci si va comunque ad impantanare, vede il dissipatore del patrimonio familiare Charlie Friend acquistare l’androide Adam (“E io ero presente in quell’alba gelida: un giovane e smanioso pioniere dell’adozione”). La perfetta e inquieta presenza del robot identico all’uomo seduto a quel tavolo di cucina, il sibilante suggerimento di pericolo sulla vicina amata da Charlie, marchiano a fondo una tensione malinconica e antispettacolare che tra JFK, i Beatles e Alan Turing ancora vivi (il matematico ha ideato gli algoritmi dell’intelligenza artificiale, per dire) permettono al sedicesimo romanzo di McEwan un passo svelto da page-turner (Pigmei) dei tempi d’oro. Narrato in prima persona in un’apnea malinconico-refrattaria che recupera seriamente le peggiori ombre e paure dei Leonard Manham e dei Joe Rose di mcewaniana memoria. Traduce dall’inglese come sempre in maniera impeccabile Susanna Basso. Voto: 7+

Lo scaffale dei libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti, da Veronesi a McEwan - 4/5
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