Media locali sostengono che a sparare davanti il palazzo del Fsb sia stato Evgeni Manyurov, un 39enne di Podolsk, città a circa 40 chilometri a sud della capitale, ex guardia di sicurezza laureata in giurisprudenza
Il giorno dopo l’attacco armato nella sede dei servizi segreti russi (Fsb) a Mosca, sui media locali circolano nuove informazioni riguardo all’uomo che, impugnando un kalashnikov, ha aperto il fuoco nel palazzo della Lubjanka uccidendo due agenti e ferendo altre cinque persone, prima di essere ucciso dalle forze di sicurezza. Secondo i media russi, a sferrare l’attacco è stato Evgeni Manyurov, un 39enne di Podolsk, città a circa 40 chilometri a sud della capitale. Dal racconto fatto dalla madre alla testata Baza, il figlio negli ultimi tempi parlava al telefono con dei non meglio precisati “arabi”.
Nessuna conferma ufficiale da parte delle autorità, che già ieri hanno fornito versioni discordanti sull’accaduto, parlando prima di tre attentatori e solo successivamente di uno, alimentando ipotesi di insabbiamento. I media russi hanno comunque riferito che il killer era una ex guardia di sicurezza laureata in giurisprudenza. E su Telegram sono circolate anche immagini di un uomo barbuto e con gli occhiali, a terra e senza vita, con la faccia insanguinata, indicandolo come il killer della Lubjanka. Il tabloid Komsomolskaya Pravda e il canale televisivo Ren hanno anche riferito, citando un inquirente, che il presunto aggressore avesse un arsenale di sette pistole che possedeva legalmente.
Tra le scarse informazioni circolate sul suo conto, dalle ricerche si apprende che era un appassionato di tiro al bersaglio e che lo scorso novembre aveva vinto la medaglia di bronzo in una competizione organizzata dallo Sport Shooting Club di Mosca.
La madre di Manyurov, raggiunta da una reporter della testata Baza, ha inoltre detto che il figlio negli ultimi tempi parlava al telefono, in inglese, con dei non meglio precisati “arabi”. Secondo alcuni testimoni oculari, inoltre, nel corso della sparatoria avrebbe urlato degli slogan riconducibili alla propaganda estremista islamica, anche se questo particolare è ancora impossibile da verificare.
“Posso assicurarvi che l’indagine prenderà misure esaustive per stabilire tutti i dettagli dei motivi e delle circostanze di ciò che è accaduto”, ha detto il capo del Comitato Investigativo russo, Alexander Bastrykin. “Purtroppo si è verificata una tragedia in tempi di pace a seguito della quale un dipendente dell’Fsb è stato ucciso. Offro le mie più sentite condoglianze alla famiglia dell’agente defunto”. Nel pomeriggio di venerdì, però, arriva la notizia della morte del secondo agente dei servizi, tra quelli rimasti feriti nell’agguato: la portavoce del Comitato Investigativo russo, Svetlana Petrenko, citata dall’agenzia Interfax, ha dichiarato che “un ufficiale è morto sul posto, un secondo in condizioni gravi è stato ricoverato in ospedale, dove più tardi è deceduto”.
Rimangono ancora molti aspetti da chiarire, però. Innanzitutto il movente: fin da subito le autorità hanno fatto sapere che consideravano la sparatoria come un atto di terrorismo, salvo poi non fornire ulteriori informazioni sui motivi che avrebbero spinto l’uomo a sparare nei pressi della sede del Fsb o se fosse legato a gruppi estremisti. Inoltre, gli investigatori non hanno spiegato perché in un primo momento, per qualche ora, la versione ufficiale circolata fosse quella dei tre assalitori, con uno che sarebbe stato ucciso e altri due, invece, fermati e “neutralizzati” dalle forze dell’ordine. Una versione poi smentita da quella adottata successivamente e che vuole solo Manyurov come unico autore dell’attacco.
Le forze dell’ordine russe hanno anche fermato il giornalista del quotidiano Kommersant, Roman Dorofeev, mentre conduceva una trasmissione in diretta filmando davanti alla sede dei servizi segreti, secondo quanto riporta la testata online Meduza. Secondo il giornale, Dorofeev aveva mostrato un documento che lo identificava come cronista, ma questo pare non abbia impedito il fermo. Sempre secondo Meduza, nella notte è stata fermata anche una reporter della testata Baza, Anna Nikitina, che avrebbe intervistato la madre dell’uomo indicato dai media russi come il presunto autore dell’aggressione di ieri nel centro di Mosca. Nikitina non è stata reperibile per cinque ore ma stamattina è stata rilasciata.