Quanto è efficace il reddito di cittadinanza nel ridurre la povertà in Italia? Da qualche settimana il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, sta diffondendo le prime stime di impatto elaborate dall’istituto previdenziale. All’inizio di dicembre, intervistato da L’Economia, aveva parlato di “una riduzione forte dell’intensità della povertà, di circa -8%, una riduzione di circa -1,5% dell’indice di Gini, cioè della disuguaglianza, e di circa -60% del tasso di povertà“. Oggi, partecipando a un convegno delle Acli di Napoli, si è limitato invece a dire che “il tasso di povertà nel nostro Paese si è ridotto di 8 punti percentuali“. Nessun riferimento a quel 60% citato venti giorni fa. Per districarsi occorre capire a che cosa si riferiscono quelle definizioni.

Come è calcolata la povertà assoluta – Il tasso di povertà assoluta misura la percentuale di italiani e stranieri residenti che non possono permettersi un paniere di beni e servizi essenziali per uno standard di vita accettabile. Il costo di quel paniere varia a seconda della zona di residenza e della composizione della famiglia. Secondo l’Istat le famiglie povere in Italia nel 2018, prima dell’introduzione del reddito, erano 1,8 milioni, per un totale di 5 milioni di individui. Stando ai più recenti dati Inps, i percettori di reddito di cittadinanza (escludendo le pensioni) sono 2,3 milioni, divisi in 890mila nuclei familiari. Il 2 dicembre Tridico ha parlato di “riduzione del 60%”, grazie al reddito, del tasso di povertà calcolato in questo modo. Significherebbe che 3 milioni di persone sono uscite dalla povertà assoluta grazie alla nuova misura voluta dal Movimento 5 stelle.

Il giallo sul “60% di riduzione” del tasso – Il livello massimo del reddito di cittadinanza come è noto è stato fissato a 780 euro per un single senza altri redditi, cifra che corrisponde alla soglia di povertà assoluta per un adulto che vive in un’area metropolitana del Centro. Il beneficio effettivo ricevuto da chi ne ha diritto però è molto più basso: consiste nella differenza tra il livello massimo previsto per la famiglia di cui fa parte e il reddito da lavoro di cui dispone. Ogni nucleo riceve in media 520 euro. Come è possibile quindi che la quota di residenti in povertà assoluta sia calata del 60%? Il presidente Inps non lo ha chiarito e il dato non è mai citato nell’unico documento ufficiale dell’Inps sull’argomento: le tabelle presentate il 6 novembre durante un incontro tra i vertici dell’istituto e una rappresentanza della Commissione europea. Luciano Capone sul Foglio ha scritto che quella variazione è in realtà solo il rapporto tra numero di persone che hanno diritto al reddito e poveri assoluti (non tutti rispettano i requisiti richiesti).

Il calo dell’intensità della povertà secondo Inps – Nelle tabelle di novembre c’è invece un altro dato, quell’8% ripetuto venerdì 20 dicembre da Tridico parlando però anche in questo caso di “riduzione del tasso di povertà”. In realtà il numero si riferisce all’intensità della povertà. Si tratta di un indicatore di “quanto poveri sono i poveri”: indica di quanto la spesa mensile delle famiglie povere è mediamente sotto la linea di povertà in termini percentuali. Il dato di partenza dell’Inps, secondo cui il gap prima dell’introduzione del reddito era pari al 38%, è però diverso da quello calcolato dall’Istat, che nell’ultimo report sulla povertà in Italia lo stima al 19,4% nel 2018.

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