L'operazione Fenice sul ruolo della criminalità organizzata in Piemonte e alle ultime elezioni regionali. In carcere il politico di Fratelli d'Italia, ex parlamentare di Fi e anche consigliere comunale: per l'accusa ha versato ai boss in due tranche un totale di 7.900 euro, a fronte di una promessa di 15mila euro. In manette anche Mario Burlò, vicepresidente nazionale dell’associazione Piccole e medie imprese
“È sceso a patti con i mafiosi. E l’accordo ha avuto successo“. Cosi il procuratore generale del Piemonte, Francesco Saluzzo, parla dell’accusa che ha portato in carcere l’assessore regionale del Piemonte Roberto Rosso di Fratelli d’Italia: è tra le otto persone arrestate dalla guardia di Finanza di Torino nell’ambito dell’operazione Fenice della Dda contro la ‘ndrangheta. Secondo chi indaga, la criminalità organizzata ha esercitato la propria ingerenza in occasione delle elezioni regionali dello scorso 26 maggio. Gli investigatori hanno documentato – anche con immagini – diversi incontri tra Rosso e alcuni presunti boss, tra cui Onofrio Garcea, esponente del clan Bonavota in Liguria. I due mediatori, l’imprenditrice Enza Colavito e Carlo De Bellis, hanno incontrato Rosso in piazza San Carlo.”Eh…5 e bon tagliamo la testa al toro”. “Glielo dico, provo a dirglielo”. “Cinque, e tre ‘caramelle’ le han già prese. E bon”. È il testo di una conversazione intercettata dalla Guardia di finanza tra i due intermediari. Rosso, secondo gli inquirenti, ha versato in due tranche un totale di 7.900 euro, a fronte di una promessa di 15mila euro per un ‘pacchetto’ di voti. Nell’ordinanza, il gip Giulio Corato scrive che “l’indagato in parola appare muoversi sul terreno elettorale come un novello Didio Giuliano (l’imperatore romano che comprò all’asta la sua carica dai pretoriani, ndr), alla continua ricerca, in plurime direzioni, di occasioni di acquisto in stock del consenso democratico“.
Rosso ha rassegnato le dimissioni da assessore, firmando in carcere la lettera che è già nelle mani del governatore Alberto Cirio. Il presidente della Regione Piemonte si è detto “allibito” per l’arresto e annuncia di avere “prontamente accettato” le dimissioni , “avendo già fatto predisporre la sua revoca“. Dalle indagini della Guardia di finanza sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Torinese, è emersa “la piena consapevolezza del politico (Rosso, ndr) e dei suoi intermediari circa la intraneità mafiosa dei loro interlocutori”, specificano gli stessi finanzieri. Nel 2012 Rosso, allora parlamentare del Pdl, firmò un’interpellanza parlamentare urgente presentata da Vinicio Peluffo (Pd), con la quale si chiedeva di approfondire i rapporti tra l’allora prefetto di Lodi, Pasquale Antonio Gioffré e alcuni ‘ndranghetisti coinvolti in inchieste antimafia. Fra questi compariva anche il nome di Onofrio Garcea, proprio il presunto boss con cui nei mesi scorsi, prima delle elezioni, Rosso si è incontrato.
“Son dei cacciapalle, buffoni”. Così Rosso abbassa il prezzo: “La busta da 5mila euro”
È il 17 giugno quando l’assessore Rosso incontra Enza Colavito in Piazza Carducci a Torino: sale sulla sua macchina e poi, quando scende, aveva “in mano una busta da lettere bianca la quale si presenteva, verosimilmente, vuota”. Secondo chi indaga, è il momento in cui Rosso consegna l’ultima tranche del pagamento dovuto a Garcea e all’altro presunto ‘ndranghetista, Francesco Viterbo. Colui che poco dopo viene infatti avvisato per telefono dall’altro intermediatore, Carlo De Bellis: “Passa in ufficio che è tutto a posto“. Come ricostruito dall’ordinanza, dentro quella busta dovrebbe esserci 5mila euro, o l’ultima parte dei 5mila euro concordati oltre ai 2.900 euro che Rosso, secondo l’accusa, ha consegnato subito a Garcea e Viterbo. La cifra iniziale pattuito per il “pacchetto di voti” doveva essere 15mila. Le indagini hanno però ricostruito come l’assessore di FdI, non soddisfatto per il numero di preferenze procurategli, abbia cercato fin dal giorno successivo alle elezioni del 26 maggio di abbassare il prezzo. Intercettato mentre parla con Colavito, definisce Garcea e Viterbo dei “buffoni“, “farabutti”. “Son dei cacciapalle“, aggiunge, facendo capire di non voler saldare quanto pattuito: “No no diglielo pure, per me … non ho niente da dire loro…“. Tanto che De Bellis, mentre parla con la stessa Colavito, lo definisce “un pezzente”. Alla fine però, secondo l’accusa, l’accordo si è concluso. Così come, nella sua ordinanza, il gip Corato ricostruisce anche i contatti con Franco Violi, “persona contigua alle cosche di ‘ndrangheta di Volpiano”, e con Cosimo Curiale, pregiudicato. “La frase ‘te l’ho detto devi dare uno, uno e uno’ fornisce uno spaccato inquietante del rapporto sussistente che, nel suo presentarsi del tutto con l’episodio in questa sede contestato, induce a ravvisare una radicata abitudine del Rosso a corrispondere ‘contributi'”, scrive il giudice.
In carcere anche l’imprenditore Burlò, vicepresidente di Pmi Italia
Le accuse a vario titolo per gli otto arrestati sono di associazione a delinquere di stampo mafioso, reati fiscali per 16 milioni di euro e voto di scambio, con la guardia di Finanza che ha effettuato anche sequestri per milioni di euro su 200 tra imprese, immobili e conti correnti, eseguiti in Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna. In manette è finito anche il 46enne Mario Burlò, imprenditore di Moncalieri e presidente di Oj Solution, un consorzio di imprese che opera nel settore della gestione esternalizzata delle risorse umane. È anche vicepresidente nazionale di “Pmi Italia“, un’associazione che riunisce 200mila piccoli e medi imprenditori italiani.
Burlò è molto conosciuto anche nell’ambiente sportivo, come sponsor di varie società, tra cui la Basket Torino e la Auxilium Torino fallita nei mesi scorsi. Le indagini hanno messo in luce le attività di figure di spessore criminale, tra cui, in ordine di importanza, Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, che hanno riorganizzato gli assetti della ‘ndrangheta operante a Torino, intessendo rapporti con l’imprenditore Burlò, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Quest’ultimo, con il sostegno garantitogli dai membri della cosca, per chi indaga ha attuato un sistema di evasione fiscale attraverso la creazione di più società, formalmente non riconducibili allo stesso, tramite cui compiere indebite compensazioni Iva ed ottenere in tal modo considerevoli profitti. Il ”sistema” così elaborato ha permesso di accumulare indebite compensazioni per un valore superiore ai 16 milioni di euro. Sotto sequestro numerose proprietà dell’imprenditore, tra cui una villa in passato appartenuta ad Arturo Vidal, una decina di appartamenti nel resort Geovillage di Olbia, nonché alcuni ristoranti e bar del capoluogo torinese.
Di Burlò il gip di Torino, Giulio Corato, scrive che è pregiudicato anche se riabilitato ed è “in stretto contatto con un vertice dell’anima siciliana del sodalizio, e rapidamente apertosi ai nuovi soci calabresi…” e che appare “a oggi al centro di un’abnorme galassia di entità societarie a lui facenti capo e che appaiono scivolare con abilità estrema tra indagini giudiziarie, accertamenti amministrativi dell’Agenzia dell’entrata e segnalazioni di operazioni sospette, il tutto al fine di sottrarre all’Erario quanta più liquidità possibile”. Una “figura imprenditoriale” quella di Burlò “al crocevia dei rapporti dei rapporti tra le due anime” dell’organizzazione ed egli stesso a capo di un’associazione a delinquere finalizzata “al riciclaggio, a reati fiscali e al reimpiego di capitali di provenienza illecita”.
Chi è Rosso: cinque legislatura in Parlamento con Forza Italia
Roberto Rosso, nato 59 anni fa a Casale Monferrato, è avvocato civilista. Entrato in politica con la Democrazia cristiana da giovanissimo, a 19 anni, è l’attuale assessore ai Diritti civili della Regione Piemonte, ma anche capogruppo in Consiglio comunale a Torino e vicesindaco di Trino Vercellese. È stato a lungo parlamentare di Forza Italia (per cinque legislature), con cui all’inizio degli anni ’90 è entrato in Parlamento. Candidato a primo cittadino del capoluogo piemontese nel 2001 (con Forza Italia) e nel 2016 (con una civica), poi è passato alla corte di Giorgia Meloni. Le accuse nei suoi confronti riguardano le elezioni regionali del maggio scorso, quando è stato eletto consigliere per Fratelli d’Italia con 4.777 preferenze, diventando assessore.