Cronaca

Navi cariche di armi a Genova, portuali e associazioni sotto la Prefettura: “La guerra esca dal porto, ora vogliamo i fatti”

Basta traffici di armi nel Porto di Genova”. Così l’Assemblea cittadina contro la guerra, i pacifisti e gli scout, Emergency e Amnesty si sono uniti ai lavoratori portuali nel presidio indetto questo pomeriggio sotto la Prefettura per far sì che le promesse strappate all’Autorità Portuale con le agitazioni della scorsa primavera si trasformino in fatti. “Non vogliamo essere più complici del commercio di armamenti, neppure riguardasse il semplice rifornimento di cargo già carichi di strumenti di morte” spiegano i lavoratori portuali. Il primo obiettivo è quello di togliere definitivamente le banchine del capoluogo ligure dagli approdi previsti dalla flotta Bahri che periodicamente parte da Jeddah, in Arabia Saudita, raggiunge il Nord-America dove tocca i grandi terminal militari e torna nel Mar Rosso carica di mezzi d’assalto, armamenti, artiglieria e componenti tecnologiche.

A dichiarare questa “Guerra alla guerra”, come viene definita in omaggio all’omonimo discorso pacifista che Pietro Gori pronunciò proprio a Genova il 18 ottobre 1903, non solo i portuali italiani ma anche i lavoratori dei terminal di Belgio, Francia e Spagna. In Italia i cargo sauditi passano anche a Cagliari, dove hanno caricato le bombe della multinazionale RWM, che ha uno stabilimento in Sardegna e un altro a Ghedi, vicino a Brescia. “L’Onu ha documentato che la guerra in Yemen ha causato oltre 60mila vittime in questi ultimi cinque anni – scandiscono al megafono i manifestanti sotto la Prefettura – milioni di sfollati e un disastro umanitario con 90 mila bambini morti per la malnutrizione, il tutto con la complicità dei governi occidentali che al netto dei proclami non fanno nulla per fermare il commercio di armi”.

Sono passati sei mesi da quando la Cgil aveva indetto lo sciopero in seguito alle pressioni dell’assemblea unitaria dei lavoratori portuali genovesi riuniti alla Sala Chiamata per evitare l’imbarco di generatori destinati all’esercito saudita. Il giorno del suo arrivo, ad attendere la ‘Bahri Yanbu’ al Terminal GMT prima dell’alba c’erano i lavoratori portuali in sciopero assieme a pacifisti e altri gruppi di azione nonviolenta che promuovono azioni di disobbedienza civile, non collaborazione e boicottaggio. Un picchetto pacifico al quale avevano fatto seguito nuove assemblee informative aperte alla città riuscendo alla fine a evitare l’imbarco di armamenti.

Malgrado il presidente della Regione, Giovanni Toti, in quei giorni si era detto gravemente turbato dai danni che l’industria bellica italiana potrebbe subire da mobilitazioni come questa, il sostegno ai portuali genovesi è arrivato pochi mesi dopo da Papa Francesco: “Tutto quello che si può fare per fermare la produzione di armi, per fermare le guerre, si deve fare sempre – ha dichiarato a fine novembre di ritorno dal Giappone – La cosa brutta è l’ipocrisia armamentista dei governi europei”. Il Papa si è rivolto con particolare durezza a quei politici che “sono così ipocriti da fare riferimento alla cultura cristiana e parlano di pace, mentre la loro economia guadagna sulla fabbricazione e il commercio delle armi con Paesi in guerra”. Per Jorge Mario Bergoglio, lo sciopero dei portuali genovesi è un esempio da seguire: “Bisogna finirla con questa ipocrisia, come bene è stato fatto questa primavera, quando è arrivata una nave piena di armi diretta nello Yemen e i lavoratori del porto hanno detto ‘no’. Sono stati bravi. E la nave è tornata a casa sua. È un episodio, ma ci insegna come ci si deve comportare in queste situazioni”.
Un sostegno che non ha stupito l’inedita alleanza che a Genova vede fianco a fianco in questa causa anarchici e lavoratori portuali con scout nonviolenti per statuto e pacifisti: “Noi non ci stiamo a essere complici di questi sporchi affari – si legge nel volantino distribuito al presidio di oggi – nemmeno se appartengono alla nostra industria di Stato come Leonardo, che ha scelto di anteporre le produzioni militari a quelle civili”. La richiesta del Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali è tanto semplice quanto radicale: “La guerra deve uscire dal nostro porto. Non siamo disposti a tollerare che un rifornimento continuo ed essenziale alla guerra, quindi alla morte e alla miseria per milioni di persone, abbia nella nostra città una sua tappa”. A partire da gennaio, i portuali chiedono il sostegno dei genovesi “perché non è una questione che riguarda solo chi fisicamente lavora in porto ma tutta la città”, e non si escludono nuovi blocchi dei varchi “se governo. e Autorità Portuale non fermassero queste navi della morte, indipendentemente che i porti di destinazione siano l’Arabia Saudita, gli Emirati, la Libia o qualsiasi altro scenario di guerra dove vengono utilizzate per portare a termine stragi di popolazioni civili”.