Come riporta Repubblica, l'ex numero uno dell'istituto di credito è stato raggiunto da un avviso di 'proroga indagini'. Non è al momento possibile stabilire chi sia il corrotto e con quali tempi e modalità, ma l'ipotesi degli inquirenti è che si tratti di uno dei vertici della Vigilanza di Bankitalia
Anche l’ex presidente della Banca Popolare di Bari finisce nel registro degli indagati. Secondo quanto scrive Repubblica, l’ex numero uno dell’istituto di credito, Marco Jacobini, è stato raggiunto da un avviso di garanzia con l’accusa di corruzione. Secondo quanto riporta il quotidiano, nell’atto inviato a Jacobini “non viene indicata l’identità del corrotto, ma questo si potrebbe trovare nella Vigilanza di Palazzo Koch”, la sede di Bankitalia.
Nella ricostruzione si legge che tecnicamente “quello notificato a Jacobini, difeso dall’avvocato Francesco Paolo Sisto, è un avviso di ‘proroga indagini’, che documenta dunque come questo nuovo filone dell’inchiesta risalga all’inizio dell’estate. Nel documento, la Procura si limita alla semplice contestazione del reato, senza specificarne le circostanze di tempo e di luogo, né chi sarebbe stato il destinatario della corruzione o in cosa si sarebbe concretizzata. L’unico dato di fatto che Repubblica è stata appunto in grado di acquisire con certezza è che gli elementi in forza dei quali l’ex Presidente della Popolare è indagato hanno a che fare con i rapporti avuti nel tempo da Jacobini con la Vigilanza di Bankitalia. Elementi allo stato indiziari. Sufficienti dunque all’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex presidente come corruttore, ma non ancora così solidi per la Procura da dare un nome anche a chi, in Bankitalia, sarebbe stato in ipotesi corrotto”.
Come si legge nell’articolo, a questo punto “la lettura a posteriori di quanto accaduto nel cruciale autunno del 2013 (quando alla Popolare venne concesso di procedere a un’acquisizione cui in quel momento era ancora formalmente inibita) potrebbe trovare risposte diverse da quelle sin qui offerte da Bankitalia. Una cosa è sostenere che, posta di fronte al dilemma se abbandonare al fallimento l’abruzzese Tercas e i suoi risparmiatori o consentirne il salvataggio per mano di chi non poteva tirarsi indietro (la Popolare), la Vigilanza scelse il male minore, scommettendo su un percorso virtuoso della Popolare che i vertici della banca si erano impegnati a intraprendere. Altro è anche solo immaginare o ipotizzare che nella tolleranza concessa dalla Vigilanza alla dissennata governance della Popolare abbia ballato la promessa o la corruzione piena di chi della Vigilanza faceva parte”.