La norma che punisce i concessionari inadempienti? “Roba da azzeccagarbugli di provincia“. Nel day after del mancato voto di Italia viva alle norme contenute nel Milleproroghe, Matteo Renzi torna a difendere i concessionari, citando espressamente quelli autostradali. E in una lunga intervista a Repubblica dice: “Se qualcuno vuole revocare la concessione ad Autostrade per la vicenda del ponte Morandi si presenti in Parlamento con un disegno di legge. Il Parlamento è sovrano: si discuterà e la maggioranza deciderà”. L’ex premier contesta l’inserimento di quelle leggi nel decreto approvato ieri “salvo intese”. “Utilizzare il Milleproroghe aprendo un potenziale caos normativo e facendo crollare la fiducia degli investitori esteri sull’Italia è roba da azzeccagarbugli di provincia. Torniamo all’Abc: nel mille proroghe ci vanno le proroghe, non le brillanti intuizioni di qualche demagogo”.
Ieri durante il consiglio dei ministri, i renziani hanno fatto mettere a verbale il loro dissenso su alcune norme. L’articolo contestato è soprattutto quello che recita: “Se il concessionario è inadempiente e questo provoca lo stop della concessione, al concessionario spetterà un ‘rimborsò pari al “valore delle opere realizzate al netto degli ammortamenti”, ma a questo ammontare deve essere “detratto quanto il concessionario è tenuto a pagare per il risarcimento dei danni derivati dal suo inadempimento“. Un passaggio che sembra ipotizzare in caso di revoca della concessione, che la società Autostrade debba pagare in sostanza i danni provocati dal crollo del Ponte Morandi, al netto delle penali che comunque lo Stato dovrebbe pagare. Tra l’altro, la norma prevede che quanto previsto dal milleproroghe sia “inserito di diritto nei contratti e nelle concessioni autostradali, anche in quelli già in corso di esecuzione”. La norma prevede anche che “in caso di revoca, di decadenza o di risoluzione di concessioni di strade o di autostrade”, in attesa della gara per il nuovo affidamento, l’Anas possa assumerne la gestione.
I renziani non hanno votato anche il piano Innovazione della ministra Pisano, che è stato bloccato per l’opposizione fondamentale del Pd. Il piano, dice Renzi, “è stato redatto con tanto di ringraziamento a Casaleggio. Alla faccia del conflitto di interessi”. Durante tutta l’intervista col quotidiano di largo Fochetti l’ex premier critica aspramente i provvedimenti del Movimento 5 Stelle. A cominciare dalla riforma di Alfonso Bonafede sulla prescrizione: definita “uno scandalo, entrato in vigore soltanto grazie ai voti di Salvini” perché “un processo senza fine è la fine della giustizia”. Il leader di Italia viva minaccia: “Vedremo quali strumenti tattici utilizzare per risolvere il problema. Ma in Parlamento su questo tema oggi Bonafede è in minoranza: se propone una mediazione, bene. Altrimenti, si voti in Aula e vediamo come va. Noi tra il giustizialismo e lo stato di diritto sappiamo benissimo da che parte stare. Gli altri decideranno”. Renzi tocca anche il caso Gregoretti, sul quale la giunta per l’Immunità parlamentari del Senato dovrà pronunciarsi il 20 gennaio sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, che il Movimento 5 Stelle aveva salvato dal processo sul caso della Diciotti. “La sorpresa più grande è la posizione del M5s – dice Renzi -. Io ritengo che i grillini debbano vergognarsi per quello che hanno fatto al governo con Salvini e per come hanno dato giustificazione politica a quelli che tecnicamente erano sequestri di persona”, è l’affondo dell’ex segretario Pd. “Dopodiché prima di decidere, leggiamo le carte. Siamo persone serie, noi”.
Attacchi anche a Conte, elogiato da Nicola Zingaretti, non è “l’uomo giusto”. “Io non credo che Conte sia un punto di riferimento per i progressisti. È il premier, lo rispetto, ma ricordo le sue frasi sul populismo, sul giustizialismo, sulla Diciotti, sul reddito di cittadinanza, su quota 100. Se però per Zingaretti Conte è l’uomo giusto, amici come prima. Per noi non lo è stato, non lo sarà: con lui governiamo in condizioni emergenziali”. Nonostante tutto Renzi assicura che la “legislatura deve andare a scadenza naturale e deve eleggere nel 2022 il presidente della Repubblica”, ma allo stesso tempo rivendica a”l 2023 arriveremo con le nostre idee, non grillizzati. Non saremo mai la sesta stella di Beppe, non ci iscriveremo alla piattaforma Rousseau”.
L’ex segretario del Pd è tornato a commentare anche all’inchiesta sulla fondazione Open, e alle polemiche coi pm relative alle indagini: “Non ho attaccato i pm – sostiene -. Ci sarà un processo, durerà anni, vedremo in Cassazione chi ha ragione. Questo non mi preoccupa. È il loro lavoro, li rispetto. Ho solo detto che i giudici devono decidere che cosa è un reato, non cosa è un partito. O una corrente di partito. Che la Leopolda non fosse una iniziativa di partito è una verità storica. Perché qui per me c’è una invasione di campo: un Paese che rimette ai giudici la decisione sulle forme della politica viene meno al principio della democrazia liberale. Mi danno tutti ragione in privato, poi tacciono in pubblico. Io non attacco i giudici, io difendo la politica: questione di stile”. E al quotidiano, che gli ricorda di avere polemizzato sulla divulgazione di dati riguardanti i suoi conti, risponde: “Io non invoco la provacy sui miei conti ma chiedo che sia rispettata la privacy”. “Non è per nascondere qualcosa della mia vita, che è pubblica da anni. Lo Stato è il difensore della tua privacy, non lo strumento per metterti alla gogna. Nel tempo dei telefonini e dei big data, la privacy è un diritto umano. Altrimenti siamo allo Stato etico”.