È stato il padre padrone della Romania per 24 anni fino alla rivoluzione del 1989, partita dalla periferia del Paese, a Timisoara. Da lì l’onda si è estesa arrivando a Bucarest e portando davanti al plotone di esecuzione, bendati, lui e la moglie, condannati a morte dopo 70 minuti di processo sommario. Nicolae ed Elena Ceausescu sono stati fucilati il giorno di Natale in una piccola scuola di Targoviste, a 80 chilometri dalla capitale. Ecco le tappe dell’ascesa e della caduta del Conducător, che ha reso la Romania l’ultimo Paese del patto di Varsavia senza riforme democratiche.
26 gennaio 1918 – Nasce a Scornicești in una famiglia di contadini e nel 1929 si trasferisce a Bucarest per diventare calzolaio. Nel 1932 entra nel Partito comunista, che allora era illegale: viene arrestato l’anno dopo, nel 1934 e nel 1936. Era considerato un “pericoloso agitatore comunista” dedito ad attività sovversive.
1939 – Incontra quella che diventerà sua moglie, Elena Petrescu. L’anno dopo viene di nuovo arrestato e nel 1943 è internato nel campo di concentramento di Târgu Jiu. Lì conosce Gheorghe Gheorghiu-Dej, che diventerà capo dello Stato dal 21 marzo 1961 al 18 marzo 1965. Alla sua morte inizierà la dittatura di Ceausescu.
1944 – Diventa segretario dell’Unione della Gioventù Comunista. Tre anni dopo, sotto il regime stalinista di Gheorghiu-Dej, diventa capo del Ministero dell’Agricoltura, poi vice ministro delle Forze Armate.
1946 – Sposa Elena Petrescu.
1954 – Diventa membro del Politburo e l’uomo più importante del partito.
1965 – Diventa Segretario generale del Partito Comunista Rumeno.
1967 – Diventa Presidente del Consiglio di Stato.
1968 – Rifiuta di partecipare all’invasione della Cecosclovacchia per non compromettere la stabilità dell’area.
Gli anni della dittatura – Nel 1974 si proclama Presidente della Romania. Con lui il Paese gode di uno status speciale rispetto agli altri del Patto di Varsavia e il Cremlino si mostra tollerante. La Romania – che con Ceausescu resta stalinista, come lo era con Gheorghiu-Dej – è indipendente nelle relazioni internazionali e nell’84 è uno dei tre paesi – con Cina e Jugoslavia – a partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles. Nel 1974 e nel 1980 firma patti che lo introducono alle relazioni commerciali con la Comunità europea.
Dal 1972 Ceausescu fa partire un progetto di demolizione, ristrutturazione e ricostruzione del Paese, dalle campagne fino alle città. Distrugge villaggi col bulldozer e rimodella Bucarest prendendo a modello lo stile comunista del regime di Pyongyang. Fa costruire quella che viene chiamata Casa del Popolo, ora sede del Parlamento: nell’intenzione di realizzare un’opera di sublime grandezza ordina più volte ad architetti e operai la ricostruzione di parti dell’edificio.
Le politiche di Ceausescu contro l’aborto, avviate nel 1966, includono anche la tassazione tra il 10 e il 20% del reddito per chi over 25 non avesse ancora procreato. Migliaia di bambini vengono abbandonati negli orfanatrofi. Arriva l’aumento demografico ma allo stesso tempo crescono sacche di povertà in tutto il Paese. Sul fronte economico, la Romania è fortemente indebitata: le divergenze con l’Unione sovietica sollecitano nell’Occidente l’ipotesi che Ceausescu voglia prendere le distanza da Mosca. E così viene elargito a Bucarest un prestito dal 13 miliardi di dollari, che chiude però il Paese in una morsa senza ritorno. Per sradicare il debito estero il dittatore decide l’esportazione forzata dei prodotti agricoli e industriali, e per i suoi connazionali il razionamento del cibo, il taglio dell’elettricità e del riscaldamento. Tutti sacrifici giustificati dall’obiettivo dell’estinzione del debito estero. Obiettivo che, di fatto, venne raggiunto poco prima della fine del regime.
La rivoluzione e la fucilazione – La popolazione è affamata, al freddo, senza luce né benzina, ma Ceausescu finge di non vedere: si fa riprendere mentre visita negozi riforniti e festeggia i risultati della produzione agricola. È l’anno della caduta del dittatore: le proteste iniziano a Timisoara per difendere il pastore protestante romeno con cittadinanza ungherese László Tőkés, che il governo voleva espellere con l’accusa di incitamento all’odio etnico. I cecchini sparano sulla folla mentre sono in corso le proteste, a cui partecipano molti studenti. Nel frattempo Ceausescu parte per una visita diplomatica in Iran. Al suo ritorno, il 20 dicembre, la situazione è tesa: il giorno dopo parla davanti alla folla – informata dei fatti di Timisoara da passaparola, Voice of America e da Radio Free Europe – a Piazza della Rivoluzione. Ma davanti a lui iniziano i fischi e le proteste: una scena mai vista in 24 anni. Lui e la moglie si rinchiudono nel palazzo del Comitato centrale, mentre polizia ed esercito affrontano le manifestazioni che il 22 dicembre sono dilagate in tutto il Paese. All’origine, secondo le ricostruzioni storiche, ci sarebbe stato il tradimento di generali della Securitate (l’intelligence della Romania Comunista) o di apparati militari.
22 dicembre 1989 – Ceaușescu e la moglie Elena abbandonano in elicottero il palazzo presidenziale. Arrivano a Targoviște perché l’esercito ordina l’atterraggio e chiuso lo spazio aereo. Tentano la fuga ma vengono catturati e consegnati all’esercito. Il giorno di Natale muoiono fucilati davanti al plotone di esecuzione dopo 70 minuti di processo sommario.
Le vittime della dittatura – Secondo l’Istituto di ricerca sui crimini del comunismo sono stati 300mila i morti durante la dittatura, 651.087 i detenuti torturati (e uno su 4 morì in carcere), 8mila le esecuzioni sommarie e 5mila le condanne capitali. Solo nella rivolta partita nella periferica Timisoara sono morte più di mille persone. E poi le fosse comuni, i 150mila desaparecidos e le decine di uomini della Securitate che tuttora sono ancora in servizio. L’ultima rivolta di cui si aveva avuto notizia nel paese, prima della caduta del dittatore, risaliva al novembre del 1987, quando circa 10mila dimostranti si scontrarono con la polizia a Brasov, in Transilvania, per protestare contro le riduzioni dei salari e la mancanza di cibo, acqua, gasolio. La feroce repressione di Ceausescu ha sempre impedito la formazione di una dissidenza organizzata.