Il capitolo si intitola “Le clausole di favore per le concessionarie“. Sono quelle scritte nero su bianco nei contratti con cui lo Stato affida le autostrade alle 22 società che gestiscono quasi 6mila dei 7mila km di infrastruttura e prevedono “rilevanti oneri economici a carico dello Stato” chiamato a indennizzare le imprese “in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione”. Riguardo a queste norme la Corte dei Conti contempla la possibilità che siano affette da “nullità manifesta“. Lo fa nella relazione di 188 pagine, anticipata a settembre dal Fatto Quotidiano, con cui i giudici contabili fotografano il sistema delle concessioni autostradali. Il report è stato pubblicato il 18 dicembre sul sito dell’istituzione, in concomitanza con l’inserimento nel dl Milleproroghe della norma che prevede l’ipotesi della revoca e la nazionalizzazione delle strutture senza il pagamento di penali. Un parere che pare non interessare a Italia Viva, che si batte contro la revoca, tanto che Matteo Renzi ha definito il provvedimento che punisce le aziende inadempienti “roba da azzeccagarbugli di provincia”.
“Una zona grigia caratterizzata da incertezza giuridica ed economica, con sacrificio dell’interesse generale a favore di quello privato”. E’ il risultato, si legge nella relazione, di vent’anni di segreto sui contenuti delle concessioni e di una prassi consolidata nel rinnovarle senza procedere a nuove gare pubbliche. Due fattori che hanno prodotto un moloch fatto sul versante delle infrastrutture di scarsi investimenti e poca manutenzione, e corrispondenti sul lato societario a profitti alti e ingiustificati in base alle spese sostenute. Un esempio: le concessioni “sono state affidate o prorogate senza gara, violando principi europei e nazionali”. Delle 7 attualmente scadute – su una rete di quasi 7mila km, di cui poco meno di 6mila gestite da 22 società private – nessuna è stata ancora riassegnata con una gara di appalto: si procede a furia di proroghe di governo in governo, da Prodi a Renzi passando per gli esecutivi Berlusconi.
Il risultato, scrivono i magistrati contabili, è che il sistema Autostrade esteso agli altri concessionari ha determinato “eccessivo costo di subentro a carico dello Stato; proroga di fatto in seguito al ritardo nel riaffidamento della concessione; revisione contrattuale attraverso l’unificazione di tratte diverse, eludendo le gare; regime di favore sugli affidamenti a società collegate”. Un sistema in cui “il mantenimento dello status quo ha accentuato le inefficienze” che si riverberano sulla fruizione dei servizi da parte degli utenti, in cui le clausole dei contratti sono “particolarmente vantaggiose per le parti private” e nel quale “costante è risultata nel tempo la diminuzione degli investimenti“.
Mentre la curva di questi ultimi ha puntato verso il basso, il capitale non è stato remunerato “con criteri trasparenti e di mercato” e la sua remunerazione “risulta notevole”, sempre al di sopra del 7%, con punte che per Autostrade superano il 10%. In parallelo sono aumentati i ricavi dei pedaggi, (il cui costo per gli automobilisti è aumentato del 64% negli ultimi due decenni, con un aumento medio negli ultimi 10 anni quasi triplo rispetto all’inflazione): 5,9 miliardi l’anno, cresciuti al ritmo di un miliardo in 5 anni. Ma sono diminuiti gli investimenti: 15 i miliardi spesi negli ultimi 10 anni quando avrebbero dovuto essere 21.
La Corte dedica quindi un capitolo a quelle che chiama “clausole di favore per le concessionarie”, ovvero le “clausole limitative della responsabilità“, la questione affrontata dalla norma inserita nel Milleproroghe sulla quale si verificano attriti tra le forze di maggioranza. Le concessioni prevedono “rilevanti oneri economici a carico dello Stato” chiamato a indennizzare le imprese “in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione”. Come quella chiesta dal M5s dopo il crollo del ponte Morandi. Commentando queste postille i giudici contabili citano il gruppo di lavoro del
ministero delle Infrastrutture istituito nel febbraio di quest’anno, che sottolinea come emerga ” dal confronto tra la convenzione del 2007 e quella del 1997, come i casi di scioglimento anticipato del rapporto concessorio siano stati oggetto, per la prima volta nel 2007, di una disciplina per più aspetti speciale ed eccentrica rispetto a quella legale (in particolare rispetto a quella prevista dal codice civile e dal codice dei contratti pubblici) all’apparenza molto ‘sbilanciata’ dal lato e in favore della concessionaria“. Su questo argomento la Corte cita il ministero, che parla di “nullità manifesta“.