Sono passati ormai molti giorni dalla manifestazione delle Sardine a piazza San Giovanni e si può provare a ragionare, con gli strumenti concettuali della filosofia, su un movimento che, piaccia o no, rappresenta una grande novità nel panorama politico italiano.
San Giovanni era piena. E piena era l’agorà di tante altre città: ma cosa sta accadendo davvero (dopo anni di passività) nelle piazze d’Italia che improvvisamente si riempiono di cittadini attivi protagonisti della vita politica? Provo a capirlo con l’aiuto di un classico della filosofia: Critica della ragione dialettica.
Il testo di Jean Paul Sartre è illuminante. I cittadini che manifestano nelle piazze d’Italia con questo strano simbolo ittico, prima di essere movimento/gruppo erano, per usare le parole della Critica, “una pluralità di solitudini irrelate”.
Non spaventi il linguaggio. La riflessione di Sartre si fa gradualmente lucida e chiara: il movimento è l’uscita dalla serialità-inerte, in nome della responsabilità, di un pericolo comune (in Italia: la destra, Matteo Salvini), di un bisogno: “il gruppo si costituisce per l’oggetto comune che determina la sua praxis” (Cr, II, p.16).
È un punto importante. Nella fase aurorale – scrive Sartre – il movimento è inarrestabile, i cittadini ritrovano la capacità d’agire “secondo un fine”, di farsi protagonisti della storia: “la parola d’ordine non è obbedisci! Chi mai obbedirebbe?” (Cr, II, p. 42). Nessuno ordina e nessuno esegue, “tutti sono nello stesso tempo sovrani e gregari” (è accaduto a Roma: “Va ripensato il decreto sicurezza”, dice Mattia Santori. Dalla piazza lo correggono: “Non ripensare, abrogare”; e lui subito si adegua: “Sì, abrogare”).
Santori, “leader e gregario” insieme: “la reciprocità è mediata dal movimento”. Sartre parla di “gruppo in fusione”. La compattezza del movimento è data dal suo essere in atto: persone che s’identificano in piazza, tra loro, gruppo che si dà parole d’ordine aggreganti quali “non violenza, solidarietà, partecipazione, antifascismo, Costituzione.”
Poi, certo, occorre specificare e sorgono i problemi: “La violenza verbale sia equiparata a quella fisica”, legge Santori dal podio: è una tesi che “non resisterebbe – dice Barbara Spinelli – al giudizio di nessuna Corte internazionale, europea o nazionale”. È così. Ma al di là dei contenuti, molte sono le difficoltà che le Sardine hanno di fronte: “la tensione rivoluzionaria non dura in eterno”. Ecco una verità, presente nella Critica, con la quale il movimento dovrà fare i conti.
Insomma, le Sardine sono nate in Emilia in vista delle elezioni. E dopo? “Cade l’evidenza del telos comune – scrive Sartre – e il gruppo-movimento si dissolve”, o, se riesce, prova a salvare se stesso. Come? Il gruppo nato per un fine si proporrà come fine: il movimento si trasformerà in istituzione. L’alternativa e la dispersione. E l’irrilevanza.
Dall’assemblea romana le Sardine dicono: “niente liste elettorali”. Per quanto tempo ancora potranno affermarlo senza perdersi? I Girotondi (di Flores d’Arcais e Moretti) non si trasformarono in istituzione e finirono nel nulla. I 5 Stelle fecero un altro percorso, ma adesso inevitabilmente divengono (è cronaca di questi giorni) partito-istituzione con “18 dirigenti-facilitatori”. Il conflitto, direbbe Sartre, è tra libertà e necessità.
Tema delicato conciliare la libertà individuale (per esempio il diritto dell’onorevole Gianluigi Paragone di contestare il movimento) con la necessità, il rispetto delle regole, che l’organizzazione impone. Dice Sartre: l’organizzazione vede nei soggetti liberi da una parte il proprio strumento di esistenza, dall’altra un problema per la sua unità. Problema complesso. Ma non eludibile.
Istituzionalizzare il movimento attraverso una segreteria politica è per i 5 Stelle necessario ma rischioso (vale anche per le Sardine): l’esito dipende dai protagonisti. Se “istituzionalizzare la sovranità” (Cr, pp. 250-257) significherà soltanto aumentare la disciplina, il controllo, l’autorità, è la fine: in ciascuno prevarrà la paura “che il gruppo si dissolva, e che il gruppo lo dissolva”.
Sembra il destino dei “gruppi in fusione”: divenire strutture alienanti. È una costante della Storia.
Sartre la indica. Muoversi all’interno di essa, senza perdersi, dipende dalla capacità di leadership di chi coordina i movimenti e, naturalmente, dai contenuti proposti: quelli indicati dalle Sardine a San Giovanni lasciano perplessi per i motivi indicati nel lucido testo di Spinelli.
Dura è la strada dei movimenti. Devono:
1. istituzionalizzarsi per non disperdersi;
2. conservare il pathos e i valori delle origini;
3. riflettere di più sui contenuti (“La violenza verbale sia equiparata a quella fisica”. Candida ingenuità: chi decide sulla “violenza verbale” – dice Spinelli; è in pericolo la libertà d’informazione).
Ecco, bisogna ragionare di più quando si dà vita a un grande (e giusto) movimento come le Sardine. Studiare. Per evitare errori grossolani: “Il velo islamico può essere simbolo di libertà?” (Flores d’Arcais). Il rischio è proporre – nonostante le buone intenzioni – un programma reazionario.