Tutta la Campania era stata battuta da un violento nubifragio, che aveva prodotto enormi colate detritiche. Poiché in principio era sembrato che il disastro avesse colpito solo l’isola di Ischia, il telegrafo di una caserma della Guardia di Finanza aveva avvertito con molto ritardo il presidente del Consiglio: una catastrofe ben peggiore di quanto valutato sul momento!
All’inviato del Corriere della Sera il segretario comunale di Cetara aveva detto: “Il disastro è immane, spaventoso e terribile. Il fiume che attraversa il nostro sventurato paese, ingrossatosi nella notte sotto la furia dell’uragano, ha travolto tutte le case dalla parte alta del paese. Non possiamo precisare il numero delle vittime”.
Questa non è la cronaca del disastro che ha colpito la costiera amalfitana il 20 dicembre 2019, ma il racconto della catastrofe che sconvolse la costiera nell’ottobre del 1910. Venticinque morti a Maiori, mentre se ne contavano più di cento a Cetara, “una tomba che non renderà più i suoi morti” come scrisse l’inviato Guelfo Civinini sul Corriere della Sera. Con la Croce Rossa e i militari arrivarono anche i fotografi della rivista più importante e moderna dell’epoca, L’Illustrazione Italiana.
Fu la prima alluvione documentata da fotografie diffuse dai media. Le foto mostrarono le strade del paese ricoperte dal fango e le case distrutte dalle colate detritiche innescate dal nubifragio, provocando una forte emozione in tutta la nazione. Non era stata ancora inventata la pellicola e le riprese richiedevano una lunga esposizione, giacché gli scatti erano impressi su lastre ortocromatiche che non riproducono bene le diverse tonalità di grigio.
A proposito dell’alluvione nella costiera amalfitana del 1954, Indro Montanelli scrisse sul Corriere della Sera che “forse qui (nella bellezza naturale di questa costa) l’origine della tragedia. Gente che vive 360 su 365 giorni dell’anno in un simile scenario non è invogliata a prevedere i disastri; e, quando il disastro arriva, ne è colta fatalmente alla sprovvista”. Sembra di leggere il copione di un cine-panettone. Ignaro che non c’è luogo al mondo dove le bombe d’acqua hanno fatto tante vittime e tanti danni come in quella magica costiera, Montanelli non ha neppure fatto a tempo a ingoiare un nuovo sintagma: bombe d’acqua.
Manlio Casaburi, giornalista salernitano che scriveva su Il giornale della Provincia, riuscì a intrufolarsi nel codazzo del sovrano in visita pastorale. Scrisse: “Il Re, con passo svelto, tra Sua Eccellenza Sacchi e il Prefetto, comincia a salire verso la parte alta del paese, soffermandosi spessissimo a guardare i crepacci e le spaccature dei palazzi […] Guarda con evidente impressione il terribile disastro e, poiché vede che l’altezza del materiale che ha seppellito Cetara raggiunge il secondo piano dei palazzi, rivolgendosi al Prefetto, gli domanda: ‘Ma è ghiaia questa?’ E il prefetto: ‘Sì, tutta ghiaia, Maestà’. Al suo ritorno a Roma, sconvolto da quello spettacolo di distruzione, Vittorio Emanuele mise subito a disposizione del Presidente del Consiglio dei Ministri cinquantamila lire per gli aiuti e la ricostruzione”.
Il Corriere della Sera del 24 ottobre 2010 diede ampio risalto alla notizia, aggiungendo nell’occhiello: “Il Papa invia cinquemila lire a favore delle vittime”. Tra Chiesa e Stato non c’era ancora stato il disgelo finale dei Patti Lateranensi. Ma, questa volta, il Pontefice si era astenuto dall’invocare il castigo di Dio, come aveva fatto in occasione dell’alluvione romana del dicembre 1870.
Pochi giorni fa ho pubblicato una raccolta di scritti e dialoghi in tema di Disastri, una edizione aggiornata a tutto il 2019. Anno in cui le notizie sui disastri alluvionali si sono avvicendate a cadenza quasi giornaliera nei cinque continenti. Nel dialogo iniziale che si svolge tra un folletto e uno gnomo, di palese ispirazione leopardiana, il folletto risponde allo gnomo in merito alla questione della responsabilità.
Gnomo: Finalmente qualche idea sensata, ma solo un’idea, un bimbo mai nato, nevvero?
Folletto: Tutti costoro si sono comportati come i personaggi di una poesia di Charles Osgood sulla responsabilità. Più o meno, racconta la storia di quattro persone: Ognuno, Qualcuno, Ciascuno e Nessuno. C’era un lavoro importante da fare e Ognuno era sicuro che Qualcuno lo avrebbe fatto. Ciascuno avrebbe potuto farlo, ma Nessuno lo fece. Finì che Ognuno incolpò Qualcuno perché Nessuno fece ciò che Ciascuno avrebbe potuto fare.