Il contrordine è arrivato alle 23.45 di lunedì 23 dicembre. La notte dell’antivigilia di Natale del 2019, sedici anni dopo l’avvio del primo cantiere, sarebbe potuta diventare la data di nascita del Mose, le dighe mobili cui spetta il compito di salvare Venezia dall’acqua alta. Così non è stato perché quando le squadre di operai erano già pronte alla bocca di Treporti e l’ingegnere Alberto Scotti, l’inventore dell’opera, era appena arrivato da Verona, è stato diramato l’ordine di fermare tutto. Il messaggio con il cellulare portava la firma di Cinzia Zincone, provveditore interregionale in pectore alle Opere pubbliche del Triveneto. E così bisognerà attendere altre acque alte per vedere in funzione le paratie che sorgono dal fondo della Laguna.

Ma le occasioni non mancheranno, come testimoniano le cronache degli ultimi mesi. Non solo l’acqua altissima (187 centimetri) del 12 novembre scorso, ma una serie ormai quasi abitudinaria di superamenti oltre il metro e per tre volte anche oltre il metro e mezzo. Lunedì mattina era stato raggiunto alle 9.40 il livello di 144 centimetri e le previsioni per la vigilia di Natale erano più o meno in linea. Infatti, tra le 8.30 e le 9 del 24 dicembre l’acqua è rimasta ferma a 139 centimetri, prima di cominciare la discesa. Lunedì è stata una giornata concitata, che ha visto due donne protagoniste. Oltre a Cinzia Zincone, anche Elisabetta Spitz, il super commissario nominato subito dopo il 12 novembre.

Non pare ci siano state pressioni particolari da parte del ministro Paola De Micheli, del sindaco Luigi Brugnaro oppure del governatore Luca Zaia. Ma nelle ore successive alla marea da 187 centimetri si erano registrate le dichiarazioni più disparate in merito alla possibilità di alzare le paratoie per tentare di salvare Venezia. Dal Consorzio Venezia Nuova e dall’ingegnere Scotti erano però venute dichiarazioni molto precise: il Mose non è ancora pronto, ci sono troppe componenti impiantistiche mancanti perché si pensi di metterlo in funzione. Anzi, il rischio che si possano creare danni alle strutture è elevato, perché l’innalzamento delle barriere, per mancanza di tutti i compressori, non può avvenire in tempi rapidi.

Che cosa è cambiato da allora? Niente, eppure la valutazione di un’apertura d’emergenza è stata fatta, proprio perché l’acqua alta è per Venezia un incubo quotidiano, con effetti devastanti non solo sulle case, le chiese e i palazzi, ma anche sul turismo, che in due mesi si è quasi dimezzato. Inoltre, le previsioni meteo per Natale, legate al vento e alle maree, non promettevano niente di buono. Si trattava comunque di un innalzamento del Mose limitato a Treporti, perchè alla bocca San Nicolò-Lido sono in corso dei lavori e a Malamocco la situazione non consente ancora l’entrata in funzione. Quali effetti avrebbe avuto una sola diga su quattro? E’ stato questo il punto decisivo. “Poco prima di mezzanotte ho ricevuto un nuovo rapporto dal Consorzio e oltre a benefici molto ridotti, si prospettava un rischio legato soprattutto ai venti. Oltre alla possibilità di un’onda di marea molto lunga. La prudenza ci ha indotti a fermare tutto”.

Non c’è stato, quindi, nessun ordine misterioso, ma una valutazione tecnica costi-benefici. Che è condivisa dall’ingegner Scotti, il quale sostiene da sempre che il Mose potrà essere provato solo quando sarà dotato di tutti gli impianti. “Qui sta passando l’idea che un’opera senza impianti funzionanti possa funzionare”, ha commentato dopo aver preso atto della decisione. “Ma noi e la squadra di una trentina di persone eravamo pronti, sul posto, a Treporti. Perché non basta premere il pulsante di un computer per mettere in funzione il Mose, servono anche gli uomini. E noi avevamo dato la nostra disponibilità alla prima richiesta del provveditore”.

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