Dopo dieci anni di battaglie giudiziarie che hanno visto Italia Nostra e il Comitato No Crescent presentare circa 30 esposti, dieci ricorsi al Tar, tre ricorsi al Consiglio di Stato (compreso l’attuale) e un processo penale di primo grado finito con l’assoluzione degli imputati e la bocciatura dell’impianto accusatorio che aveva esaminato l’iter della realizzazione sul lungomare di Salerno del complesso immobiliare del Crescent, il 23 dicembre si è saputo che la Procura della Repubblica di Salerno ha richiesto il rinvio a giudizio di 12 imputati a vario titolo tra dirigenti, funzionari del Comune di Salerno rappresentanti di imprese esecutrici e direttori dei lavori dell’opera pubblica/privata.

L’udienza preliminare è stata fissata per il 22 gennaio 2020 dinanzi al Gup del Tribunale di Salerno, dott.ssa G. Pacifico, e l’inchiesta questa volta sembra concentrarsi sull’aspetto idrogeologico e le preoccupazioni espresse dal consulente nominato dalla Procura sulla deviazione del torrente Fusandola.

Italia Nostra ha inoltre depositato al Consiglio di Stato un articolato ricorso in appello che ha, fra l’altro, formulato specifica richiesta di risarcimento dei danni paesaggistico-ambientali per circa 400 milioni di euro a carico delle Istituzioni competenti e dei privati costruttori. Con questo atto, l’associazione fa appello contro la sentenza del Tar che ha respinto la richiesta di annullamento degli atti autorizzativi del Crescent e di tutte le opere di urbanizzazione realizzate grazie ad un Piano Urbanistico Attuativo che ha completamente stravolto e cementificato l’area del Lungomare e della spiaggia di Santa Teresa. Al vaglio del giudice amministrativo questa volta non tanto gli aspetti paesaggistici ma, soprattutto, quelli riguardanti il disastro ambientale avvenuto.

Il Crescent, per chi non avesse seguito la vicenda, è un edificio lungo 300 metri circa, alto quasi 30 metri, realizzato con utilizzo di oltre 150.000 metri cubi di calcestruzzo, comprendente anche una piazza sul lungomare di circa 30mila metri quadrati.

Doveva essere il fiore all’occhiello della sindacatura De Luca e infatti venne incaricato l’archistar Ricardo Bofill di disegnare un edificio a mezzaluna affacciato su una nuova piazza sul lungomare, replicando un modello che era già stato utilizzato sul fronte del porto di Savona.

Da quanto emerge dal nuovo rinvio a giudizio della Procura della Repubblica, questa volta viene contestata la mancata autorizzazione da parte della Regione Campania – Ufficio del Genio Civile di Salerno (ente competente sul demanio delle acque) a deviare con un gomito di 60° e a tombare la parte terminale del torrente Fusandola, che nell’alluvione catastrofica del 1954 causò la morte di più di 100 persone. In altri termini sono stati contestati i gravi reati di cui agli articoli 450, 632 e 633 del codice penale, ovvero pericolo di inondazione, disastro colposo e deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi.

Infatti, secondo l’esperto della Procura, la tombatura in uno scatolone di cemento della sezione di 5,50m x 1,55m “presenta anche una traversa con soglia tracimabile dell’altezza di circa 90 cm che, riducendo la sezione dell’alveo, funge da ostacolo al deflusso delle acque e, soprattutto, del materiale trasportato dalla corrente”. Inoltre, nella progettazione e realizzazione dell’opera non viene affrontato il problema dell’insabbiamento della foce dovuto al trasporto della sabbia litoranea.

L’associazione e il comitato ricordano che secondo quanto stabilito dalla legge in vigore (il Regio Decreto 523/1904) sono assolutamente vietate opere che possano “alterare lo stato, la forma, le dimensioni e la resistenza degli argini” e che la tombatura “in caso di notevoli precipitazioni atmosferiche […] può provocare l’arresto del flusso a causa di tronchi d’albero, detriti e altri oggetti trasportati dalla corrente che non riescono a superare un tratto della galleria”.

Il moltiplicarsi di piogge torrenziali (e il passato fine settimana ne è un esempio) preoccupano, soprattutto quando ad ogni esondazione corrispondono solo le giaculatorie di amministratori locali che si stracciano le vesti invocando lo stato di emergenza, senza però mettere in atto una seria politica della prevenzione dal rischio idrogeologico. Quello che sembra elementare buonsenso non dovrebbe essere oggetto di lunghe battaglie legali, ma sentire comune e pianificazione urbana responsabile e sostenibile.

Accanto alla gravissima questione del rischio idrogeologico, c’è anche la constatazione dell’arretratezza culturale della nostra classe dirigente, che vede nell’asservimento alla filiera delle tre C – cave, cementifici e costruzioni – la chiave del nostro sviluppo economico e sociale. Evidentemente, De Luca considera il mattone speculativo – settore da sempre facilmente infiltrabile dalle mafie – la cifra qualificante la propria azione di governo, tanto da voler essere sepolto al Crescent, accanto a un ecomostro.

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